L’oro di Arezzo si appanna?

Il 2014 partito sotto i migliori auspici, basati sui numeri, nel il distretto orafo di Arezzo sembra non mantenere le promesse. La causa? L’instabilità geopolitica, con le tensioni in Medioriente o Ucraina, come rileva Silvia Pieraccini nella sua analisi sul quotidiano Il Sole 24 Ore

«Il distretto orafo di Arezzo sale di nuovo sull’ottovolante, con le antenne puntate verso il nord Africa e il Medio Oriente. I venti di guerra che spirano da quell’area – la più importante per le esportazioni del distretto toscano – hanno fatto raffreddare non poco l’entusiasmo che aveva caratterizzato l’inizio d’anno. Nel primo trimestre 204 la produzione industriale orafa della provincia di Arezzo ha segnato un balzo del 25%, che segue il +1l.3% e il +4,5% degli ultimi due trimestri 2013. Sempre nei primi tre mesi dell’anno l’export orafo aretino ha fatto un balzo del 20.3% (+10% la media nazionale), confermando il record toccato nell’intero 2013 con +21.5% a sfiorare 2,1 miliardi di euro. Ma da fine aprile-inizio maggio, anche se i dati ufficiali ancora non lo certificano, produzione e fatturato hanno cominciato a rallentare di pari passo all’aumentare dei disordini geopolitici. E la doccia per le aziende orafe è stata gelata, anche perché la ripresa decollata nell’estate scorsa arrivava dopo un lustro di crisi pesante».

 

E così, continua l’articolo, se diminuisce la domanda dei paesi dove il consumo di gioielli è tradizionalmente più elevato che in altri, come Nord Africa e Medio Oriente, crescono i timori. Anche se un modo per far quadrare, temporaneamente, i conti c’è come dichiara un operatore del settore.

«Il 2014 è cominciato molto bene – spiega Andrea Boldi, titolare dell’azienda di gioielleria Nemesi e presidente della Consulta orafa di Arezzo, che riunisce le aziende di Confindustria, Cna, Confartigianato e Confapi, oltre che a capo di Fiera Arezzo – ma a metà maggio lo scenario è cambiato: la situazione libica è degenerata; l’Algeria, che l’anno scorso per la sola oreficeria a peso aveva realizzato un flusso commerciale di 190 milioni con lettere di credito, ha bloccato l’import dall’Italia; la situazione egiziana si è complicata; e la guerra tra Palestina e Israele stanno preoccupando i buyer dell’area. Per tutti questi motivi il secondo trimestre non potrà ripetere i risultati del primo. In questo momento c’è grande prudenza nel programmare gli acquisti, e ci sono timori per i crediti che i nostri clienti hanno in quei Paesi». A confortare, nell’immediato, ci sono i riassortimenti post – Ramadan dei clienti arabi, che faranno girare le fabbriche orafe aretine anche durante il mese di agosto: «Abbiamo chiuso solo la settimana di Ferragosto – spiega Baldi, che quest’anno prevede una crescita del 15% rispetto ai 6,1 milioni di fatturato 2013, realizzato per il 70% con produzione a marchio proprio o del cliente, e per il resto come terzista delle griffe – per far fronte alle richieste dei mercati arabi e garantire un servizio ai clienti. Le aziende aretine che hanno come riferimento l’area araba hanno limitato al massimo le ferie». 

Padiglione di OroArezzo
Padiglione di OroArezzo

Insomma, secondo questa analisi sarà l’autunno a smentire o confermare previsioni negative. Intanto, le aziende si stanno organizzando per trovare un nuovo posizionamento:

«L’incognita vera è per settembre. «Nelle ultime settimane si sono fermate le commesse in arrivo da Dubai, da cui passa il 40% dei flussi mondiali di oro», spiega Francesco Bernardini, responsabile del comparto oro di Banca Etruria, leader di settore, che nel primo semestre dell’anno ha incrementato gli affidamenti in oro del 15% (6% al netto dell’aumento del prezzo della materia prima). «Ma l’aspettativa – aggiunge Bernardini – è che a settembre le commesse da Dubai possano ripartire, ridando slancio al distretto aretino che è fortemente legato a quell’area». Gli Emirati Arabi, infatti, assorbono oggi la metà dell’export del distretto toscano, e hanno contribuito a farne il leader dell’industria italiana della gioielleria. Un distretto (1.100 aziende, 10mila addetti, 2.5 miliardi di fatturato) che oggi lavora, utilizzando il cosiddetto “prestito d’uso”, meno della metà dell’oro lavorato dieci anni fa (4-5 tonnellate anziché 10), sostituito da altri metalli meno preziosi, e che sta vivendo la riconversione di una fetta di aziende orafe che producevano catename nobrand in terzisti della bigiotteria di lusso griffata (ad esempio per fare catene-tracolla per borse). Il fenomeno è in atto, e 150-200 artigiani sono già entrati nelle filiere di produzione bijoux dei grandi marchi, con l’effetto di differenziare clienti e scadenze. Alla filiera dell’oro made in Italy sta guardando Fiera Arezzo per organizzare un grande evento a Milano in occasione dell’Expo, in partnership con altri distretti».

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