Tiffany ha puntato su Francesca Amfitheatrof, una designer cosmopolita dall’eclettico apprendistato, per introdurre un nuovo corso. La neo design director del colosso americano, racconta a Enrica Roddolo, del quotidiano il Corriere della Sera, che cosa ha cercato di tradurre in creatività disegnando la nuova linea Tiffany T (qui immagini e prezzi della collezione https://gioiellis.com/t-come-tiffany).
Ecco l’intervista.
«Ho visto le donne più belle, gli abiti di alta moda più straordinari negli anni 70 quando – piccolissima – accompagnavo mia madre alle sfilate di Valentino. E poi di Giorgio Armani per il quale mamma Elvira, romana, ha lavorato a lungo». Francesca Amfitheatrof, prima donna a guidare come design director il team creativo di Tiffany & Co, parla dal suo ufficio di New York. È lei «the cool factor», l’elemento più contemporaneo della maison che ha 177 anni di storia. Ma è anche, a sorpresa, «the Italian factor». «In realtà Tiffany ha sempre avuto un’anima cool: era cool Charles Tiffany come Elsa Peretti, aggiunge in un italiano fluente, che tradisce una leggera cadenza capitolina, anche se è nata a Tokyo 44 anni fa, e cresciuta tra New York, Roma, Londra e Mosca. Penso al lavoro creativo di Elsa, sempre così contemporaneo anzi, direi avventuroso».
A proposito di avventure. Vero che ha iniziato con i talenti dell’arte contemporanea, i Young British Artists provocatori come Damien Hirst o i fratelli Chapman?
«SÌ, e dire che mio padre Erik, giornalista di Time magazine che è stato bureau chief della rivista a Mosca quando ancora c’era l’Urss, da buon Wasp sognava per me un futuro da avvocato, e per mia sorella un lavoro da dottore, e quando avevo forse 11 anni ci portò a fare un tour delle università Ivv League sperando che, come lui, avremmo scelto Harvard. Ma io avevo in mente altro. Scelsi Londra. Insomma, sono andata a scuola d’arte, Central Saint Martins e Royal College of Art, negli anni della Thatcher e degli Yuppies quando chi inseguiva il successo non faceva certo questa scelta».
In realtà Hirst oggi è una celebrity anche di straordinario successo economico.
«Infatti, quel circuito di persone era quello meno proiettato verso il successo e invece è stato proprio quello che lo ha conquistato. La cosa straordinaria degli artisti è la loro capacità di vedere il mondo in modo irriverente. Ricordo ancora quando Jay Jopling aprì la galleria d’arte White Cube a Londra, quel che succedeva ai vernissage era fenomenale . Attorno a quel mondo ruotavano anche talenti di moda come Alexander MacQueen o Philip Treacy, capaci di creare in maniera eccentrica. Da ultimo, in Cina, ho conosciuto anche l’artista Ai Wei Wei che mi ha mostrato strepitosi gioielli antichi. Ho metabolizzato tutto ciò: la moda, l’arte e il know specifico»,
Già, è laureata come jeweler ma anche silversmith, Insomma, conosce i mestieri del gioiello sin dalla materia prima.
«O sì, ho anche fatto 6 straordinari mesi di apprendistato proprio in Italia, anni fa, vicino a Padova con alcuni maestri artigiani che mi hanno insegnato a mixare vari ori, gli argenti È una lezione che metto a frutto adesso con la mia prima collezione Tiffany T. Ho scelto di impiegare tutti gli ori, dal giallo al rosa al bianco e fino all’argento, ma anche diamanti e persino la ceramica, che ho imparato a conoscere negli anni in cui ho lavorato per Wedgwvood Stoke e per Alessi: ero appena diplomata e Alberto Alessi mi propose di andare a lavorare con loro. Poi le contaminazioni sono continuate con gli occhiali da sole che ho disegnato per Marni e i bottoni per Chanel».
Prima di Tiffany ha lavorato anche per Fendi e Alice Temperley, creato gioielli per Asprey & Garrard. Una palestra eclettica.
«In fondo Tiffanv non è solo gioielli, che fanno comunque il 90% circa del business. Ma la
maison vuol dire anche accessori e molto altro».
E forse non è un caso che abbia scelto una designer a 360 gradi, che cosa ha cercato di tradurre in creatività disegnando Tiffany T?
«Volevo creare una linea molto legata al design, per una donna moderna. Che viva a Milano, New York, o Dubai non importa. Gioielli che non avessero sesso o età. E immediatamente riconoscibile come Tiffany. Ma più di tutto ho provato a creare qualche cosa di effortless (alla lettera senza sforzo, naturale, ndr). Ecco la leggerezza, anche un po’ di calviniana memoria, è qualche cosa che ho sempre inseguito».
Che cosa indossa lei di effortIess?
«La fede di mia nonna, ormai è un filo sottilissimo, il mio portafortuna. E poi l’anello di René Lalique di mia madre … ma porto anche i braccialetti di corda che si mettono in spiaggia. E se penso a Tiffany, abbiamo preziosi da 200 euro o da milioni di euro. Ogni gioiello, al di là del valore, ha una straordinaria forza simbolica».