Come nello sport, nel mondo della gioielleria sono scese in campo due squadre. La prima detiene il primato in classifica e non intende cederlo. La seconda guadagna punti, ma è ancora lontana dalla vetta. I due team rivali sono quelli di chi utilizza diamanti naturali, creati da madre natura milioni di anni fa, e chi li produce artificialmente con raffinate macchine. Questi ultimi sono chiamati pudicamente diamanti lab grown, cioè cresciuti come fossero zucchine in serra. La realtà è diversa: i diamanti sintetici, del tutto uguali chimicamente a quelli naturali, sono prodotti con impianti produttivi perlopiù in Cina e India che sono, tra l’altro, parecchio energivori. Ma questo è un altro aspetto.
È un fatto che con la tecnologia sia diventata più semplice e meno costoso produrre i diamanti definiti lab grown. E la domanda che si pongono i gioiellieri, ma anche molti consumatori, è se le vendite di queste gemme sintetiche continuerà ad aumentare, come è avvenuto negli ultimi anni a partire dal 2018, quando è sceso in campo anche il produttore di diamanti naturali De Beers con il marchio Lightbox. Inoltre, un interrogativo riguarda il mercato dei gioielli con diamanti naturali: è destinato a perdere quote di mercato? A queste domande cerca di rispondere un analista specializzato, Paul Zimnisky, che ha pubblicato un’analisi riportata dal sito National Jeweler.
L’analisi di Zimnisky è particolarmente interessante perché getta uno sguardo sui prossimi 10-15 anni. La prima considerazione dell’analista è che, come è ovvio, l’offerta di diamanti artificiali è illimitata. Basta produrli. E, visto il trend, la produzione di diamanti sintetici dovrebbe continuare a crescere fino ai 25 milioni di carati entro il 2030. Una grande quantità, ma molto meno dei diamanti naturali, che nel 2021 hanno raggiunto i 120 milioni di carati. L’aumento dell’offerta, unita alla spesso scarsa possibilità di valutazione delle pietre sintetiche, farà scendere ulteriormente il prezzo dei diamanti di laboratorio. L’analista porta un esempio: a metà 2018 un diamante generico da 1 carato, G VS1, coltivato in laboratorio è stato venduto al dettaglio per 3.625 dollari, rispetto a 6.600 per un diamante naturale della stessa dimensione e qualità. Ma oggi, un diamante sintetico delle stesse dimensioni e qualità è venduto per 1.615 dollari, mentre quello equivalente naturale è aumentato di valore a 6.705 dollari.
Se ne deduce che i diamanti sintetici sono destinati, se il trend sarà confermato, a perdere di valore. Al contrario di quelli naturali. Ma sarebbe sbagliato ridurre tutto a una questione di prezzo. A pesare molto è il marchio di chi vende. Zimnisky porta come esempio un brand come Hèrmes: se vendesse un buon diamante sintetico, sarebbe percepito prima di tutto come gioiello di alta classe e poi come gemma non naturale. Questo ragionamento porta l’analista a una previsione: la maggior parte dei diamanti sintetici perderà valore. Ma ci sarà anche un ristretto numero di brand che potranno utilizzarli facendo leva sulla propria notorietà, a patto di scegliere gemme molto grandi e di ottima qualità. Insomma, il mercato dei gioielli sintetici potrebbe dividersi in due classi, normale e premium. Questi ultimi potranno essere competitivi con i diamanti naturali ma, naturalmente, saranno anche più costosi.
Un esempio di successo per i diamanti sintetici di qualità media è, per esempio, la recente linea Pandora Brilliance. Ma una carta da giocare per i produttori di gemme artificiali potrebbe essere la possibilità di personalizzare con forme inusuali le gemme, aspetto che permetterebbe di distinguersi dai prodotti naturali. La partita tra le due squadre durerà a lungo.