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Damiani: più vendite con i monomarca

Per Damiani il 2014 ha significato un incremento dei ricavi consolidati da vendite del 4,3% a cambi correnti (150,4 milioni). Conferma di una «solida e duratura crescita» nel segmento retail (+7,2%), che incide per circa il 41% sul totale ricavi. L’utile non c’è ancora, ma le perdite si sono notevolmente ridotte a 3,5 milioni contro gli 8,6 del bilancio precedente. Il consiglio di amministrazione del gruppo di Valenza ha approvato il progetto di bilancio (che è stato chiuso al 31 marzo 2015). Migliora, soprattutto, la redditività: l’Ebitda (margine lordo) consolidato supera i 4 milioni di euro (era di 0,3 milioni di euro nel 2013). A quanto pare gli affari vanno bene soprattutto per i monomarca Damiani, che tra Italia ed estero, registrano una crescita del 25%. In buona performance anche il segmento wholesale (ingrosso), maggiormente penalizzato in passato dalla crisi dei consumi, ha registrato un recupero con ricavi in crescita del 2,4%. Damiani gestisce 54 punti vendita diretti, di cui 41 monomarca. Gli investimenti in giro per il mondo hanno, però, peggiorato l’indebitamento, salito a 50,5 milioni contro i 40,8 al 31 marzo 2014: uno scotto inevitabile se l’azienda vuole sostenere l’espansione sui mercati fuori dai confini. Un esempio è quello del progetto Damiani Ginza Tower, che consiste nella trasformazione di un edificio di nove piani, situato nella centralissima Chuo-street del quartiere di Ginza in Tokyo. Nell’edificio sarà situata la nuova boutique Damiani e la Vip room, che occuperanno quattro piani del palazzo e gli uffici della filiale giapponese del gruppo. La conclusione dei lavori di allestimento e l’apertura della boutique è prevista per l’estate. Federico Graglia

Rocca 1794, corner Damiani
Rocca 1794, corner Damiani
Margherita Buy
Margherita Buy ha scelto di indossare i gioielli Damiani in occasione dell’edizione dei premi David di Donatello 2014-2015, dove è stata incoronata miglior Attrice per la nona volta. Margherita ha indossato gli orecchini della collezione Drip Drop con diamanti neri e rubini e bracciale della collezione Swan
Da sinistra, Giorgio Grassi Damiani, la signora Montolivo, Guido Grassi Damiani e Riccardo Montolivo
Da sinistra, Giorgio Grassi Damiani, la signora Montolivo, Guido Grassi Damiani e Riccardo Montolivo

Le 5 regole per investire in diamanti

Investire in diamanti? È un’idea. Ma non esagerate: non dovete trasformare in gemme tutti i risparmi. Innanzitutto perché un investimento sicuro al 100% non esiste. E, soprattutto, perché, secondo gli esperti, è bene diversificare i propri risparmi, cioè investire i propri soldi in tante attività diverse, come azioni, titoli di Stato, prodotti finanziari. Ma anche, perché no?, in diamanti. Insomma, acquistare gemme come investimento è un aspetto da non trascurare e che può diventare redditizio. Chi è certo della bontà di questo tipo di investimento è Maurizio Spoldi, amministratore di Dsc, Diamond Service Company e Diamond Provider di Itc, International Trading Company, società della galassia del gruppo De Beers. Che a Gioiellis rivela le cinque regole per acquistare diamanti in sicurezza. Spoldi è un esperto, nonché osservatore del mercato delle più richieste pietre preziose: «Investire in diamanti è sicuramente un buon affare. È un’affermazione inconfutabile, visto che le banche, pur di conquistare nuovi clienti, promettono regali in gemme preziose e che gli analisti finanziari non lasciano occasione per diffondere i risultati, positivi, sul rendimento delle pietre da investimento». Perché può essere interessante investire in diamanti? «Perché il diamante consente di mantenere saldo il potere di acquisto. Investire in diamanti per far fruttare il proprio denaro o i propri risparmi è sicuramente un affare, specialmente in questi anni di stagnazione economica. È necessario però affidarsi a un consulente che non sia solo un esperto finanziario, ma anche un profondo conoscitore del mondo della gioielleria e delle pietre preziose».

Maurizio Spoldi
Maurizio Spoldi

Insomma, i diamanti brillano, ma chi non conosce il mondo delle gemme rischia di prendere delle fregature se non si affida a un esperto. «Bisogna sapere che le banche non vendono direttamente le pietre, ma selezionano aziende del settore del mondo dei diamanti, alle quali chiedono una percentuale sull’investimento. Il che significa, per gli investitori, avere un costo non corretto del bene acquistato». Insomma, avverte Spoldi, «mai rivolgersi agli istituti bancari».

Ma che cosa è necessario sapere per chi vuole investire in diamanti? «Per fare un buon investimento e avere garanzia di rendimenti stabili e controllati occorre rispettare cinque regole», precisa l’amministratore della Diamond Service Company. Eccole:

Diamante e investimento
Brillanti

Regola numero 1 La prima riguarda la certificazione: deve essere effettuata da enti riconosciuti e oggettivamente liberi da pressioni commerciali. Ogni diamante, di qualsiasi carato e purezza, deve rispondere ai requisiti stabiliti dalle normative del Kimberley Process, uno schema di certificazione mondiale che vigila, e consente la commercializzazione, solo di pietre non provenienti da aree di conflitto.

Regola numero 2 La seconda regola riguarda le caratteristiche delle gemme: è importante esigere l’esposizione chiara di tutti i dati contenuti nel certificato. L’interpretazione corretta delle informazioni certificate deve essere effettuata da un esperto.

Regola numero 3 L’esperto deve avere una visione del mercato dei diamanti di medio-lungo periodo.

Regola numero 4 Chiarezza sul ricollocamento della pietra: a questo scopo è indispensabile avere come interlocutore un soggetto imprenditoriale esperto, che garantisca la ricollocazione della gemma nel momento del bisogno.

Regola numero 5 Richiedere informazioni trasparenti sulla tassazione dell’investimento.

Diamante e investimento
Diamante e investimento

Soldi: l’oro non scende più

Notizia per chi ama l’oro come investimento (e non sono pochi). Il prezzo è calato: è il caso di tornare ad acquistare il metallo giallo? E tenete conto che il valore dell’oro sul mercato si riflette prima o poi anche sul costo dei gioielli, quindi anche se non avete intenzione di acquistare lingotti, magari attraverso un fondo di investimento, sarete interessati a sapere se nei prossimi mesi il prezzo dell’oro aumenterà o scenderà. Per i lettori di Gioiellis pubblichiamo in esclusiva l’analisi di uno dei più quotati esperti: Nevine Pollini, senior analyst commodities di Union Bancaire Privée (Ubp).

«Rimaniamo cauti sull’oro, poiché sembra bloccato intorno ai 1180-1200 dollari l’oncia, spinto in direzioni opposte da due forze diverse: da un lato ci sono le continue incertezze sulla crisi del debito greca (fattore positivo per i prezzi); dall’altro troviamo la forza del dollaro che, supportata da una serie di dati macro  positivi negli Stati Uniti (indice ISM manifatturiero, spesa per costruzioni e disoccupazione), sta aumentando le aspettative circa un rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve per quest’anno, riducendo così l’attrattività del metallo giallo.

La scorsa settimana, la revisione al ribasso da parte del Fondo Monetario Internazionale sulle stime della crescita statunitense per il 2015 e l’invito rivolto alla Fed di ritardare il primo rialzo dei tassi alla prima metà del 2016 (fino alla comparsa di maggiori segnali di inflazione) non hanno avuto il minimo effetto sul prezzo dell’oro. Il prossimo meeting del Fomc, previsto per il 17 giugno, potrebbe fornire maggiore chiarezza sulla volontà della Fed di applicare una stretta alla politica monetaria entro la fine dell’anno. Tuttavia, poiché nel resto del mondo le altre banche centrali, al contrario della Fed, stanno mantenendo politiche monetarie espansive, questi trend divergenti stanno continuando ad avvantaggiare il dollaro e a pesare sul prezzo dell’oro.

Per quanto riguarda la crisi del debito greca, poi, al Paese è stato concesso di effettuare tutti i pagamenti di giugno al FMI in un’unica soluzione, con scadenza il 30 giugno. Tuttavia, il rischio di default è stato semplicemente posticipato e dovrebbe ricomparire presto, innescando probabilmente un acquisto di beni rifugio. Fin quando però questi eventi continueranno a contrapporsi, l’oro sembra immune a entrambe le forze.

E’ poi interessante notare come le quote detenute dagli ETF sull’oro continuino a diminuire, con un totale sceso a 51 milioni di once, il livello più basso dal 2009. Inoltre, nonostante la recente volatilità dei mercati, l’oro non sembra comunque in grado di riacquistare la sua attrattività come bene rifugio.

A questo punto, l’unica salvezza per i prezzi dell’oro potrebbe provenire da una considerevole contrazione dell’offerta; anche in questo caso però ci vorrà del tempo, perché l’oro, a differenza dei metalli di base e della maggior parte delle commodity, è meno sensibile all’andamento dell’offerta, per via della quantità di scorte disponibili. Occorrerebbero, infatti, due o tre anni consecutivi di contrazione della produzione perché entri in gioco una percezione di scarsità e perché ciò influenzi il sentiment sul metallo giallo, creando una reazione positiva sui prezzi dello stesso».

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Pepite d’oro
Il prezzo dell'oro negli ultimi due anni
Il prezzo dell’oro negli ultimi due anni

La T di Tiffany è un successo

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C’è chi dice che i loghi nella moda non sono più di moda, eppure Tiffany & Co con il lancio della nuova linea T Collections dimostra il contrario. Lo dicono i numeri dell’ultimo bilancio presentato dalla multinazionale americana, come spiega bene l’analisi di Jenni Avins in un articolo scritto per Quartz, il giornale digitale di notizie economiche del gruppo Atlantic Media (http://qz.com/414624/tiffanys-has-found-the-way-to-sell-logo-emblazoned-jewelry-quietly/). Non che prima dell’avvento del nuovo direttore creativo Francesca Amfitheatrof le vendite andassero male, ma i gioielli di fascia prezzo più bassa, al di sotto dei 500 dollari, non facevano certo i grandi fatturati degli anni passati, afflitti anche da un dollaro troppo forte. Alla manager stilista il compito di introdurre delle novità per invertire la tendenza negativa. E così è stato: i nuovi bracciali rigidi con due semplici T e più in generale tutta la linea sono piaciuti e parecchio, poiché i clienti di Tiffany stanno spendendo molto di più per la T Collection che per qualsiasi altra collezione fashion mai realizzata in passato secondo quanto ha affermato Mark Aaron, responsabile investor relations della società, in una dichiarazione raccolta dalla giornalista Jenni Avins. Che rileva come la peculiarità questo successo stia in un design molto discreto, a volte a un punto tale da non essere nemmeno riconoscibile come marchio, per esempio nelle collane e nei bracciali a catena con le maglie formate da sottili T difficilmente individuabili da un occhio inesperto. Insomma, una mossa audace che ha dato i suoi frutti. E che, aggiungiamo noi di Gioiellis, è stata fortemente sostenuta e lo è ancora da una campagna pubblicitaria imponente su tutti i possibili mezzi di comunicazione a livello globale, dalla stampa alle affissioni alla tv e su tutti i social media, sfruttando al massimo le possibilità di coinvolgimento offerte dalla tecnologia. Monica Battistoni

Tiffany T, bracciale Wire in oro giallo 18 carat. Prezzo: 1.500 euro
Tiffany T, bracciale Wire in oro giallo 18 carat. Prezzo: 1.500 euro
Bracciale T di Tiffany, ceramica e oro 18k
Bracciale T di Tiffany, ceramica e oro 18k
Bracciale della serie T di Tiffany
Bracciale della serie T di Tiffany. Ceramica e oro, prezzo: 8.500 dollari
T Collection, collane e bracciali in argento e oro giallo
T Collection, collane e bracciali in argento e oro giallo
Francesca Amfitheatrof
Francesca Amfitheatrof

Endless Jewels raddoppia con Jlo

È nato meno di due anni fa, ma è già un successo: Endless Jewels, marchio di gioielli danese che fa concorrenza alla connazionale Pandora, ha annunciato di aver incrementato la sua catena di produzione e raddoppiato la propria capacità produttiva per soddisfare la domanda globale per i suoi gioielli. Il marchio è stato lanciato 21 mesi fa ed è diventato subito globale: è presente in 21 mercati, tra cui Italia e Stati Uniti. Pare che una delle chiavi del successo sia dovuta alla collezione firmata da Jennifer Lopez (https://gioiellis.com/jennifer-lopez-collection). Secondo il fondatore e ceo di Endless, Jesper Nielsen, che tra l’altro è anche un ex distributore dei charms Pandora, «ora i nostri impianti di produzione e hanno raddoppiato la capacità di produzione di charms, grazie a una partnership per la produzione dei braccialetti. Vogliamo garantire il volume di produzione, ma allo stesso tempo non vogliamo scendere a compromessi sulla qualità». Nielsen ha anche aggiunto di avere in programma l’ingresso su nuovi mercati (il primo sarà quelle di Taiwan). Novità sono attese al prossimo JCK di Las Vegas, dove sarà presentata una nuova linea sempre firmata da Jlo. Federico Graglia

Bracciale Endless Jewels
Bracciale Endless Jewels
Jennifer Lopez per Endless Jewels
Jennifer Lopez per Endless Jewels
Bracciale Endless Jewels
Bracciale Endless Jewels
Jesper Nielsen, fondatore di Endless Jewels
Jesper Nielsen, fondatore di Endless Jewels

La Cina appanna l’oro 

L’oro è meno brillante: secondo il World Gold Council, la domanda di oro nel primo quadrimestre del 2015 si è aperta con un segno meno del 3%, che porta i volumi delle transazioni a 600,8 tonnellate. La causa? Nel report, commentato con un articolo da Anthony DeMarco per Forbes, si citano le oscillazioni delle vendite un po’ ovunque nel mondo, ma in particolare nei due principali mercati di gioielli: Cina e India. Nel primo Paese c’è stato un calo del 10%, ossia 23 tonnellate in meno rispetto all’anno precedente (su un totale di 213 tonnellate), anche per effetto (pare) delle norme anti-corruzione varate dal governo. Una perdita però compensata da un sensibile aumento di vendite in India, dove in questi primi mesi sono state acquistate oltre 150 tonnellate di oro, 27 in più rispetto allo stesso periodo del 2014 e pari a un più 22%. Insomma, gli indiani nonostante l’introduzione di tassa più alta sulle importazioni di questo bene di lusso, non rinunciano ai gioielli.

L'andamento dell'oro negli ultimi 5 anni
Il valore dell’oro negli ultimi 5 anni

Il Wgc fa notare l’impatto dei numeri sull’andamento globale, e rileva che, se si esclude la Cina, la domanda mondiale è cresciuta dell’1%, buona notizia che si trasforma in negativa se si elimina anche l’India. Anche perché il boom dei primi quattro mesi del 2015 è relativo alla contrazione registrata nello stesso periodo un anno fa, causata dall’incertezza economica e dalle restrizioni governative. Mentre per la Cina è avvenuto esattamente il contrario: a un grande crescita passata si contrappone un rallentamento del Pil e un Outlook sull’oro piuttosto cauto. Altrettanto misurato è il giudizio sul mercato Usa: è vero che è in crescita per il terzo anno consecutivo, ma gli esperti parlano di fragile ripresa quando si riferiscono a +4% con 22,4 tonnellate di oro. Stessa percentuale positiva per il Regno Unito a fronte di un’Europa sotto del 2%. Che però sta meglio della Turchia, meno 28%, della Russia, meno 40% e dell’Egitto, meno 31%. Ma c’è l’Arabia Saudita con il suo più 5%. Federico Graglia

Shopping di gioielli in A Shenyang
Shopping di gioielli in A Shenyang1616

Lingotto

Apre a Panama la borsa dei diamanti

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La Borsa dei Diamanti di Panama (la 29 vesima del comparto nel mondo) apre sotto i migliori auspici, con la prospettiva di incrementare la vendita dei gioielli in America Latina del 14% entro la fine del decennio. Un giro d’affari che ammonterebbe, secondo le stime, a oltre 9 miliardi di dollari, secondo quanto affermato da Judy Meana, vice presidente del Panama Diamond Exchange (Pde), la prima piazza di contrattazioni di diamanti e pietre preziose del continente sudamericano, inserita in un hub, il Panama Gem and Jewellery Center, che in futuro potrà contenere fino a11 mila negozi di gioielli.

Judy Meana, vice presidente di Panama Diamond Exchange
Judy Meana, vice presidente di Panama Diamond Exchange

«Quello latino-americano è un mercato in via di sviluppo, le cifre sono molto incoraggianti e si tratta di un settore che fiorirà grazie al fatto che i gioiellieri della regione avranno accesso a una grande quantità e una vasta gamma diamanti, pietre preziose, semi-preziose, oro, perle e prodotti finiti», ha spiegato Meana al quotidiano canadese La Presse. Una buona notizia anche per il sistema della gioielleria italiano, visto che la Fiera di Vicenza ha sottoscritto un accordo di collaborazione con Pde (https://gioiellis.com/un-canale-panama-per-fiera-vicenza). Ma in realtà c’è chi teme il rovescio della medaglia: infatti, come ha sottolineato la manager, uno dei vantaggi del centro è che i compratori non dovranno più viaggiare per mezzo mondo, ossia verso gli Stati Uniti e l’Europa, per trovare ciò che cercano. Quindi non si troveranno più nelle condizioni di pagare un prezzo premium per qualcosa che è di seconda mano. Non solo, le transazioni saranno esenti da imposte, perché il mercato azionario ha lo status di zona franca. Comunque sia, l’Edp dovrebbe generare 3 mila posti di lavoro diretti e 10 mila come indotto e rappresentare il 3% del Pil del Paese. E fin da subito gli operatori di Borsa saranno competitivi con i colleghi brasiliani e messicani. Federico Graglia

La sede di Panama Diamond Exchange
La sede di Panama Diamond Exchange

Boom in Cina per i gioielli online

Sarà boom per i gioielli e i diamanti venduti online, soprattutto in Cina. Questo, almeno, secondo quanto emerge dai dati incrociati di diverse ricerche, i cui risultati potrebbero modificare parzialmente l’opinione diffusa che questo mercato sia troppo rischioso e scoraggiante. Il primo segnale di ottimismo viene da China Luxury Forecast, la pubblicazione annuale sulle tendenze chiave del mercato del lusso, che rileva come il 57 per cento dei consumatori cinesi abbia sviluppato una maggiore fiducia negli acquisti di lusso online negli ultimi 12 mesi rispetto all’anno precedente.

Passione cinese per i gioiellis
Passione cinese per i gioielli

La motivazione è dovuta in parte all’alto tasso di insoddisfazione (63%) dell’esperienza di acquisto nei negozi di Hong Kong, una destinazione molto popolare tra gli amanti dello shopping di alta gamma, e in parte alla possibilità di cercare e trovare on line le marche non disponibili nel Paese. Non solo, per la società di consulenza Bain & Company, gli acquisti via Web in Cina cresceranno del 25% annuo, tre volte di più delle vendite al dettaglio in generale. Ci sono poi i marketing manager di eBay, convinti sostenitori che il prezzo medio della transazione di preziosi abbia ancora spazio per crescere e che l’e-commerce di beni di lusso sia una tendenza globale, con gioielli e orologi tra le prime tre categorie in aumento. Infine, per il Fortune Character Institute la Terra di Mezzo rappresenta quasi la metà delle vendite di lusso a livello mondiale. Insomma, se tre indizi fanno una prova e in questo caso sono quattro, non è irrealistico supporre che in Cina il commercio elettronico possa trasformarsi in un’occasione d’oro. Federico Graglia

Gioielleria di Macao
Gioielleria di Macao
Gioielleria a Pechino
Gioielleria a Pechino

Stroili fa i conti e si allarga

Per Stroili l’Italia è ancora Oro e si prepara ad aprire nuovi negozi. L’azienda friulana fa sapere di aver chiuso il 2014 con una crescita del fatturato del 5% a 220 milioni di euro. A prima vista non sembrerebbe, però, se si prende in considerazione la Stroili spa. L’azienda, in un’intervista al Sole 24Ore ha fatto sapere anche di puntare a consolidare il proprio giro d’affari nel 2015 e che nel 2014 ha raggiunto un Ebitda di 30,6 milioni. Aspettando di conoscere nel dettaglio i conti di gruppo del 2014, si può solo ricordare che nel 2013 il fatturato della Stroili spa è stato di 238 milioni di euro (-1,66% sull’anno precedente), mentre il Mol (margine operativo lordo) era sceso a 25,8 milioni (-20,28%). Per finire, un patrimonio netto era calato (la crisi è stata dura per tutti) a 19,3 milioni (-62%). Non sorprende, quindi, che il bilancio fosse in rosso per 32 milioni, risultato in ulteriore discesa rispetto alla perdita dell’anno precedente (-8,6 milioni). Ora, però, sembra passato il grande freddo per i consumi e gli acquisti. Tanto che il gruppo Stroili prepara l’apertura di 15 nuovi store in Italia, che si aggiungono ai 367 punti vendita monomarca, mentre fa sapere che non è all’ordine del giorno una vendita dell’azienda con sede ad Amaro (Udine), né l’ingresso di nuovi soci. Al momento l’azienda guidata da Maurizio Merenda è controllata dalla Investindustrial di Andrea Bonomi (65%), 21 Investimenti (Benetton), Intesa Sanpaolo e Wise Venture, L Capital e Ergon Capital al 35%. Federico Graglia

Maurizio Merenda
Maurizio Merenda
La boutique in Corso Vittorio Emanuele, a Milano
La boutique in Corso Vittorio Emanuele, a Milano

Chi ha 24-35 anni compra più gioielli

I giovani tra i 24 e i 35 anni, i cosiddetti «millennials», spendono più degli altri per i gioielli. Più precisamente, nel 2014 hanno comprano più monili per il 28% in più rispetto alla media. È la conclusione a cui è arrivato Edahn Golan, mega consulente del settore e proprietario della Diamond Research & Data, azienda specializzata nell’analisi del settore della gioielleria e a predirne i trend. Ma, in generale, i gioielli piacciono moto ai giovani: i consumatori sotto i  25 anni, per esempio, hanno aumentato la loro spesa per gioielli del 100% tra il 2003 e il 2013. Anche per questo negli Stati Uniti, in particolare, le vendite di gioielli l’anno scorso sono aumentate dell’1,4%. Gli Usa restano il più grande mercato del mondo per la gioielleria, con vendite per 68,8 miliardi dollari nel 2014: la spesa media è stata di 434 dollari per famiglia. E se si comprendono anche gli orologi si sale a 612 dollari. Attenzione, però: Golan avverte che i consumatori comprano di più, ma spendono di meno. Tradotto: acquistano più gioielli, ma spendono meno per ogni pezzo. Altra novità: gli acquisti si svolgono durante tutto l’anno, e non solo durante la stagione natalizia. Anzi, nel 2014, le vendite prima del 25 dicembre sono scese dell’1,2. Se sapete l’inglese e siete curiosi di conoscere nel dettaglio i trend del mercato visti dal guru Edahn Golan potete scaricare l’intero report qui. Federico Graglia 

Interno di un negozio Tiffany
Interno di un negozio Tiffany
Anelli con smeraldi in gioielleria
Anelli con smeraldi in gioielleria
Davanti a uno store Tiffany
Davanti a uno store Tiffany

Disco verde per Tous a Baselworld

Non è vero che Baselworld è un evento riservato solo alla gioielleria di altissima gamma: lo dimostra la prima presenza di Tous. Il brand spagnolo di gioielli quest’anno ha partecipato, infatti, come espositore con le sue collezioni. I suoi gioielli (https://gioiellis.com/tous-per-dire-miami/) puntano più sull’innovazione e sul design che sui carati di pietre e metalli. Non solo: il brand fondato nel 1920, ma che è decollato sotto la guida di Rosa Oriol e Salvador Tous, ha anche linee di borse, profumi, orologi, occhiali e accessori, di un lusso a prezzi accessibili. E dopo Vicenza, a dire della società, anche Basilea ha prodotto risultati: la presenza «si è tradotta nella firma di accordi per aumentare il numero dei punti vendita in una varietà di mercati internazionali», fa sapere il gruppo spagnolo. Secondo Rosa Tous, vice presidente corporate del brand, «come azienda di gioielli globale e multi-categoria, abbiamo visto questo come una grande opportunità di presentare i nostri prodotti di lusso a prezzi accessibili alla fiera più internazionale del settore. Siamo molto soddisfatti con la calda accoglienza che abbiamo ricevuto dai gioielli e orologi professionisti, visto che questo ci aiuta ad andare avanti nel nostro piano di crescita ed espansione». Tous, presente anche in Italia, si sta espandendo anche in Asia e in Medio Oriente, negli Stati Uniti e in Sud America. Ma non solo: «I nostri prodotti sono venduti nei cinque continenti in quasi 500 negozi, alcuni dei quali in nuovi mercati come la Bulgaria, l’Azerbaigian, la Nuova Zelanda e in Angola», ha precisato Rosa Tous. Federico Graglia

Marta Tous, directore ricerca e sviluppo di Tous, Salvador Tous, co-fondatore e  presidente onorario, e Rosa Tous, corporate vice-president di Tous
Marta Tous, directore ricerca e sviluppo di Tous, Salvador Tous, co-fondatore e presidente onorario, e Rosa Tous, corporate vice-president di Tous
lo stand di Tous a Baselworld
lo stand di Tous a Baselworld

Tiffany, 2014 brillante ma non d’oro

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Affari d’oro per Tiffany, ma senza brillare. Il più grande gruppo mondiale della gioielleria ha annunciato di avere registrato nel quarto trimestre (chiuso da un punto di vista contabile a gennaio 2015) utili per 196 milioni di dollari, e l’intero anno con profitti per 484 milioni di dollari, in crescita rispetto ai 181 milioni dell’anno precedente. Ma avrebbe potuto andare meglio se il dollaro non si fosse rafforzato sull’euro. Nei tre mesi terminati a fine gennaio, infatti, Tiffany ha visto le vendite diminuire dell’1% a 1,3 miliardi di dollari. E il futuro? L’azienda ha fatto sapere di attendersi «una crescita minima» degli utili rispetto al 2014, con un calo degli utili netti del 30% nei primi tre mesi del nuovo esercizio fiscale. F.G. 

Negozio Tiffany
Negozio Tiffany
Bracciale della serie T di Tiffany
Bracciale della serie T di Tiffany. Ceramica e oro, prezzo: 8.500 dollari

Cala la vendita dei gioielli di famiglia

C’è meno gente che va a vendere i propri gioielli. Un segno che l’economia globale sta migliorando è proprio la diminuzione dell’oro proveniente dal riciclo di gioielli, lingotti, monete e prodotti dell’industria, che è sceso a 1.122 tonnellate. Secondo il World Gold Council, l’associazione industriale delle principali aziende minerarie aurifere, il volume non è mai stato così basso dal 2007. In pratica, il rapporto pubblicato in collaborazione con il Boston Consulting Group sostiene che si sia tornati a livelli pre-crisi. Il motivo? Il giro d’affari della principale fonte di metallo prezioso di seconda mano, ossia i gioielli, è diminuito perché se ne vendono sempre meno per avere liquidità. Gli analisti affermano che gli shock economici possono determinare un aumento del 20% delle attività dei cosiddetti compro oro e simili, è successo durante la crisi asiatica alla fine del 1990 e c’è stato un aumento del 25% durante l’ultima crisi nel 2008-2009. Un lucroso commercio che, però, ora sembra in declino, almeno negli Stati Uniti, con alcuni casi eclatanti come quello di Cash4Gold.com. Il sito specializzato nel compro oro nel 2009 aveva un giro d’affari tale da potersi permettere di pagare 3 milioni di dollari per mandare in onda un suo spot pubblicitario durante il Super Bowl, ma dopo appena tre anni è fallito.  Forse la colpa non è solo da imputare a un drastico calo di clienti, ma di fatto questa azienda ha dichiarato bancarotta e ha cambiato

proprietario. Anche la svalutazione dell’oro ha pesato: sempre gli esperti hanno evidenziato una correlazione tra calo dei prezzi dei metalli e e l’attività di compro oro. Per esempio, nel 1999, quando un’oncia (poco più di 28 grammi) di metallo giallo valeva 250 dollari la provenienza era così ripartita: 73% produzione mineraria e 17% riciclo. Dieci anni dopo il valore ha superato per la prima volta i 1000 dollari, il secondo tasso è salito al 42%, un record visto che si attesta al 26%. Certo, in paesi come Cina e India che rappresentano il 60% della domanda mondiale è un settore ancora da sviluppare, ma in Occidente le cose stanno cambiando. Federico Graglia

Lingotti d'oro pakistani
Lingotti d’oro

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Compro oro

Salta la vendita di Stroili

Contrordine, abbiamo scherzato: Stroili non sarà venduta a un indiano (https://gioiellis.com/stroili-venduta-indiano/). Il Corriere della Sera, in un articolo a firma di Carlo Turchetti, rettifica quanto pubblicato a novembre sulle stesse pagine. Il proprietario del brand di gioielleria, cioè il fondo Investindustrial di Andrea Bonomi (che detiene il 31% in via indiretta), assieme a Intesa Sanpaolo (12%), 21 Investimenti (cioè i Benetton, con circa 9%) e Wise sgr (circa 9%), più il fondo Ergon, il finanziere Francesco Micheli e i De Nora, hanno chiesto troppo, oppure il fondo Emerisque diretto dall’indiano Ajay Khaitan, ci ha ripensato. Conclusione: Stroili rimane italiana fino a nuovo ordine, e continua a essere diretta dall’amministratore delegato Maurizio Merenda. Il prezzo di acquisto intorno a 300 milioni, più del fatturato (230 milioni) potrebbe aver scoraggiato l’investimento. Per acquistare Stroili si era parlato anche del fondo italiano Clessidra di Claudio Sposito, che ora è guidato, per le attività legate al lusso, dall’ex amministratore di Bulgari, Francesco Trapani. Federico Graglia

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Selfie d’ordinanza di Elisa Sednaoui e il ceo Maurizio Merenda
Stroili orecchini
Vanité: orecchini in argento dorato e glitter. Prezzo: 99,90 euro

Pomellato così così

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Salma Hayek, moglie di François Pinault, è ora anche collega del magnate francese del lusso fondatore del gruppo Kering: l’attrice è, infatti, il nuovo volto di Pomellato, azienda italiana della gioielleria acquistata dall’impero parigino giusto due anni fa. Salma sostituisce l’algido volto di Tilda Swinton, che provocava un brivido (di freddo) anche in pieno agosto. Il compito della nuova testimonial, ritratta voluttuosamente tra le trasparenze di una piscina di Los Angeles da Mert e Marcus, è anche quello di scaldare le vendite dell’azienda famosa per gioielli come gli anelli Nudo, oppure per il brand Dodo.

Secondo quanto emerge dai bilanci della società, infatti, di strada da fare ce n’è parecchia. Gli ultimi conti disponibili sono quelli relativi al 2013 (il bilancio 2014 non è ancora stato redatto). E basta scorrere le colonne di numeri per notare come la situazione dell’azienda fondata nel 1965 da Pino Rabolini, condotta da Andrea Morante e presieduta da Jean Marc Duplaix sia bisognosa di un’iniezione di ottimismo. Intendiamoci, niente di drammatico, ma la crisi che avvolge parte del mondo della gioielleria non lascia fuori l’azienda, che da un punto di vista amministrativo al momento in cui ha depositato i conti era divisa in due realtà: Pomellato spa, la società operativa, e la controllata Pomellato Europa.

I conti della prima parlano chiaro: i ricavi nel 2013 sono scesi da 120,5 milioni di euro a 117,7 milioni, con un calo del -2,37%. Ma peggio ha fatto il margine operativo lordo (cioè quello che determina il risultato finale): il Mol, infatti, è sceso da 23,6 milioni a  19,6, con una diminuzione di quasi il 17%. In contrazione anche il cash flow, cioè i quattrini cassa: al 31 dicembre 2013 Pinault ha trovato 10,3 milioni di euro, contro 13,4 di un anno prima. Una situazione che ha fatto precipitare l’utile, calato da 10,5 milioni a 6,7 (-35,5%). In compenso sono aumentati i debiti, da 1,7 a 2,5 milioni: in ogni caso, una cifra bassa rispetto al livello dei ricavi e dello stato patrimoniale dell’azienda. Situazione diversa per Pomellato Europa, che è una società di più modeste dimensioni. La controllata della casa madre, adibita all’attività commerciale, ha chiuso con una perdita di quasi mezzo milione di euro rispetto a un utile di 413 mila euro dell’anno precedente, con ricavi per 11,4 milioni. Insomma, gioielli d’oro, ma conti un po’ meno preziosi. Federico Graglia

Salma Hayek
Salma Hayek
Andrea Morante
Andrea Morante

Cambio della guardia alla Damiani

Il gruppo Damiani è l’unico del comparto quotato alla Borsa italiana. Come tale è tenuto a dare conto dei suoi affari ogni tre mesi: un esercizio scomodo, ma che offre trasparenza agli investitori. Ecco, dunque, i conti dell’azienda piemontese nei primi nove mesi del bilancio 2014-2015 (che la società chiude ogni 31 marzo). Tenendo conto che in Italia i consumi sono andati a picco per tutti, i conti non sono troppo male, anzi, mostrano segni di ripresa. Nei conti al 31 dicembre 2014 i ricavi sono saliti del 5% a cambi costanti, a 115,4 milioni di euro. Il dato positivo è anche la crescita delle vendite nel segmento retail (+6,3%), e in particolare il marchio Damiani (58 punti vendita diretti) è quello che tira di più, con un incremento del 22%. Il canale retail pesa per circa il 40% sul fatturato totale del gruppo. Un po’ in controtendenza con il resto del mercato, Damiani segna un incremento anche in Italia di oltre il 5%, mentre all’estero i ricavi sono stati complessivamente in incremento del 3,5% a tassi costanti e del 2,3% a tassi correnti rispetto al pari periodo precedente, penalizzati principalmente dalla svalutazione dello yen. Positivo anche il margine lordo (Ebitda) a 5,2 milioni di euro, in miglioramento di 4,9 milioni di euro rispetto al 31 dicembre 2013. Ma resta un dato negativo, seppure ridotto: i nove mesi si sono chiusi con un rosso di 1,4 milioni di euro, che comunque significa un miglioramento del 61,6% rispetto a un anno fa. Nessuna buona nuova anche dalla posizione finanziaria netta negativa di 50,2 milioni di euro (40,8 milioni di euro al 31 marzo 2014), ma «a seguito della stagionalità e degli investimenti effettuati nel periodo».

Ma c’è anche una novità di rilievo al vertice del gruppo: il consiglio di amministrazione, «in considerazione del sempre maggiore coinvolgimento diretto del presidente Guido Grassi Damiani nell’ambito del processo di internazionalizzazione del Gruppo, la cui strategia è sempre più focalizzata ad una presenza diretta nei mercati esteri, ha deliberato la nomina alla carica di amministratore delegato di Damiani spa dell’attuale vice presidente Giorgio Grassi Damiani, con deleghe alla gestione operativa della società italiana». In sostanza Guido Grassi Damiani continuerà a fare l’ambasciatore del gruppo in giro per il mondo, mentre le redini operative industriali passano al fratello Giorgio. Federico Graglia 

Giorgio Grassi Damiani con Sofia Loren
Giorgio Grassi Damiani con Sofia Loren
Un anno di titolo Damiani in Borsa
Un anno di titolo Damiani in Borsa
Giorgio Grassi Damiani con star cinesi
Giorgio Grassi Damiani con star cinesi
Giorgio Grassi Damiani con il calciatore Hidetoshi Nakata
Giorgio Grassi Damiani con il calciatore Hidetoshi Nakata
Da sinistra, Giorgio Grassi Damiani, la signora Montolivo, Guido Grassi Damiani e Riccardo Montolivo
Da sinistra, Giorgio Grassi Damiani, la signora Montolivo, Guido Grassi Damiani e Riccardo Montolivo

Export a picco, Arezzo shock

L’allegato «Affari & Finanza» di Repubblica, dedica un allarmato articolo al distretto orafo di Arezzo. Che, secondo quanto riporta il giornale, ha visto precipitare le esportazioni di gioielli del 40% in pochi mesi. Una débâcle che, però, è vista con meno ansia da alcuni, che sostengono come si stia semplicemente tornando ai livelli di qualche anno fa. Cauta, ma preoccupata, anche il neo presidente di Federorafi, Luciana Ciabatti, che indica la strada per recuperare: i Paesi in cui la ricchezza sta aumentando, come Indonesia, Tailandia, Messico. Basterà? Ecco l’articolo firmato Maurizio Bolognini. 

Gold/Italy, evento dedicato al Made in Italy nella produzione orafa, organizzato ad Arezzo
Gold/Italy, evento dedicato al Made in Italy nella produzione orafa, organizzato ad Arezzo

I migliori clienti dell’oreficeria aretina battono in ritirata, ma in soccorso si affacciano vecchi e nuovi compratori. Nel terzo trimestre del 2014 – ma il trend negativo prosegue tuttora – i sudditi degli Emirati Arabi, che nel 2013, avevano comprato quasi la metà dei gioielli in oro esportati da distretto aretino per un valore di 1 miliardo di euro, hanno tagliato gli acquisti del 40% rispetto all’anno prima. E gli algerini, secondi clienti, hanno azzerato lo shopping. Un’emorragia. Compensata dalla crescila di Hong Kong (+27% nei primi nove mesi del 2014) e dal ritorno degli americani, su cui punta il distretto per ripartire. Nei primi anni Duemila si accaparravano il 35% delle esportazioni aretine, ora solo il 9%, ma si spera nell’apprezzamento del dollaro sull’curo, nell’attesa abolizione del dazio sull’oro (al 5,8%) e sulla fame del lusso degli statunitensi, che nel 2014 hanno aumentato del 77% il consumo di gioielli.

Ivana Ciabatti, presidente di Federorafi
Ivana Ciabatti, presidente di Federorafi

Il salto da un mercato all’altro non è però banale. Serve un rapido aggiornamento di stile: dalle forme voluminose, barocche, etniche, gradite ad arabi e africani, a oggetti dalle linee moderne, essenziali, stilizzale, di gusto occidentale. «Dubbiamo reagire e non subire gli eventi, rivisitare e rilanciare il lifestyle italiano», esorta Luciana Ciabatti, amministratore dell’aretina Italpreziosi e dal 26 gennaio presidente nazionale di Federorafi Confindustria. Il dettaglio, anzitutto, della spaventosa retromarcia del terzo trimestre 2014, quando il valore delle esportazioni dell’oreficeria di Arezzo è calato a 382,4 milioni dai 504,9 dello stesso periodo dell’anno prima. Gli Emirati Arabi hanno dunque ridotto gli acquisti del 39,6%. Gli algerini hanno tagliato del99,2% lo shopping, che nel 2013 era stato spinto a 169,3 milioni di euro dai dazi favorevoli. E poi -14,4% la Turchia, che è il terzo mercato. Male anche la Cina (-91%) in conseguenza della stretta anticorruzione. Una Caporetto, insomma.

Anello d'oro 24 carati
Anello d’oro 24 carati

Fluttuazioni di valore della materia prima, instabilità politica nei Paesi medio orientali e da ultimo il crollo del prezzo del petrolio, sono le cause principali della fuga, proseguita fino a oggi, dei clienti mediorientali. Che ha messo in difficoltà un tessuto economico formato da 1.197 imprese che occupano 8.000 addetti (19,000 con l’indotto) ed esportano per 2 miliardi di euro. Il monitor dei distretti di Banca Cr Firenze evita però drammatizzazioni. «Il calo è in pane un fisiologico ripiegamento rispetto ai brillanti risultati registrati nel corso del 2013 – spiega – quando l’abbassamento del prezzo dell’oro e le buone condizioni economiche avevano fatto esplodere la domanda di gioielli. L’export di Arezzo verso gli Emirati Arabi Uniti sta rientrando sui livelli 2011-2012 e difficilmente si assisterà ad un recupero: la complessa situazione geopolitica del Medio Oriente sembra, infatti in costante peggioramento e inizieranno a stringere maggiormente le capacità di spesa». È in linea l’analisi di Luca Benvenuti, cfo di Unoaerre, storica industria del gioiello di Arezzo, che nel 2014 può vantare export in controtendenza, col segno più e a doppia cifra, dopo aver riannodato il filo con mercati esteri trascurati negli anni di crisi aziendale. «Fino ad agosto-spiega – gli acquisti sono stati scoraggiati dalla crescita del prezzo dell’oro. Dopo, fino a metà novembre, il valore del prezioso è precipitato da 1.300 a 1.140 dollari l’oncia, ma le tensioni in Medio Oriente hanno frenato i compratori. Il problema è che da metà novembre ad ora ci sono stati altri scossoni negativi: il petrolio è ancora sceso e l’oro è tornato sui 1.300 euro l’oncia».

Negozio di gioielleria a Dubai
Negozio di gioielleria a Dubai

Eppure ci sono anche segnali positivi. Il primo è che dopo oltre 15 anni consecutivi di diminuzione della produzione orafa italiana, il 2014 ha segnato un’inversione di tendenza passando da 62,6 tonnellate del 2013 a 86,4. Di questo trend, e a fronte di una domanda mondiale di gioielli in calo, sembra aver beneficiato l’export degli altri distretti italiani, in particolare Valenza, (+23,7% nel terzo trimestre), meno sbilanciati sui mercati medio orientali rispetto a quello toscano, e così per Arezzo è diventato obbligatorio diversificare gli sbocchi. Sugli Usa le speranze ora si incentrano sull’azzeramento dei dazi, che dovrebbe comportare, da solo, un incremento immediato dell’export del 20%, per oltre 1 miliardo di euro. Ma non solo. «Dobbiamo scommettere sui quei 30 Paesi emergenti dove, secondo un o studio di Confindustria, nei prossimi 5 anni emergeranno 200 milioni di nuovi ricchi affamati dei nostri prodotti e dove il nostro business, potrà salire fino a oltre 3 miliardi di euro», sostiene Ivana Ciabatti. «Penso a mercati importanti come Brasile e India, ma anche ad ex repubbliche sovietiche, Europa Orientale, Tailandia, Malesia, Indonesia e Messico, dove siamo poco o per nulla presenti. E auspico anche un rilancio del dialogo per accordi di libero scambio Cina-Ue». Ma c’è anche l’altra sfida. «Dobbiamo – dice Ciabatti – sviluppare marketing e produzione di qualità alta – perché non possiamo competere coi grandi volumi produttivi asiatici – aggregare e far crescere la dimensione delle nostre imprese. Al governo chiediamo che si varino finalmente le riforme attese da troppo tempo e renda più facile la vita alle aziende». Maurizio Bolognini 

Anello d'oro 24 carati
Anello d’oro 24 carati

Francesca Noseda comunica Damiani

Damiani, gruppo piemontese quotato in Borsa e specializzato gioielli e orologi di alta gamma, affida a Francesca Noseda Press & Public Relations il coordinamento e la gestione del proprio ufficio stampa Italia ed estero. Sarà la professionista della comunicazione, che conta già tra i suoi clienti Qvc Italia, Giorgetti e Frette, a gestire la comunicazione corporate e di prodotto per promuovere, sui media nazionali e internazionali, l’immagine di Damiani. Francesca Noseda rimarrà il punto di riferimento per Salvini e Bliss, altri brand del Gruppo Damiani.

 

Francesca Noseda
Francesca Noseda

Ivana Ciabatti presidente di Federorafi

Gli orafi hanno una nuova rappresentante: è Ivana Ciabatti, imprenditrice nel distretto di Arezzo. È stata eletta presidente di Confindustria Federorafi, la federazione nazionale che raggruppa oltre 500 aziende di produzione del comparto orafo, argentiero e gioielliero italiano in sostituzione di della torinese Licia Mattioli, che ha concluso il suo mandato. Ivana Ciabatti è amministratore unico della Italpreziosi di Arezzo e dal 1984 anche amministratore delegato di Goldlake. Era presidente della sezione orafi e argentieri all’interno di Confindustria Arezzo. F.G.

Ivana CIabatti
Ivana CIabatti

Report: l’oro non tornerà a correre

Ubp,Union Bancaire Privée, ha analizzato la situazione dell’oro. Sale? Scende? Se siete interessati al prezzo dell’oro, ecco un report riservato, firmato da di Nevine Pollini, senior analyst commodities di Ubp.

Pepite e lingotti
Pepite e lingotti

Il prezzo dell’oro si è impennato bruscamente ed è in rialzo di circa l’8,2% YTD grazie alla maggior domanda di beni rifugio, legata alle preoccupazioni per l’economia mondiale, dopo l’annuncio della Cina di una crescita nel 2014 al ritmo più lento dal 1990 e il taglio delle stime sulla crescita globale da parte del Fondo Monetario Internazionale.

Al rally dell’oro ha contribuito anche l’azione a sorpresa della Banca nazionale svizzera, che ha rimosso la soglia minima del tasso di cambio tra franco ed euro e ha portato i tassi da -0,25% a -0,75%. Un altro fattore è costituito dalle aspettative sugli effetti del QE della Banca centrale europea.

Considerando la forza del dollaro, riteniamo che la capacità di resistenza del metallo giallo sia davvero notevole, ma riconosciamo anche che i tassi d’interesse negativi e/o molto bassi (il rendimento del Treasury USA a 10 anni è sceso al livello più basso dalla metà del 2013) stanno riducendo il costo opportunità di detenere l’oro.

Abbiamo inoltre visto una ripresa della domanda d’investimenti in oro, come dimostrano i considerevoli afflussi sugli ETF sull’oro per la prima volta da novembre 2014. Un ulteriore fattore che di recente ha sostenuto i prezzi del metallo prezioso è stato un recupero della domanda fisica in vista del capodanno cinese del 19 febbraio.

Rimaniamo tuttavia scettici riguardo a un ulteriore rialzo delle quotazioni dell’oro per via della forza del dollaro (al momento sui massimi da 11 anni) e delle aspettative sull’avvio in primavera del ciclo di rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve, fattore che manterrà i prezzi del metallo giallo sotto controllo.

Inoltre, non crediamo che la vittoria del partito di sinistra Syriza in Grecia comporterà una disgregazione dell’Eurozona, poiché Syriza cercherà un compromesso con la Troika nel tentativo di ottenere un abbassamento del costo legato al debito greco e/o una nuova estensione delle scadenze dei prestiti.

Le condizioni macro continuano a non favorire assolutamente l’oro; ci aspettiamo che i prezzi del metallo giallo restino sotto pressione o che, nella migliore delle ipotesi, rimangano in un range tra i 1.050 e i 1.350 dollari l’oncia nel 2015, purché, ovviamente, le crisi politiche che si stanno scatenando a livello globale non peggiorino.

 

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