La storia della gioielleria italiana ha un nome: Marchisio. Anche se ora l’azienda torinese lavora per conto terzi, ha una storia alle spalle che vale la pena di raccontare: comincia addirittura nel 1649, quando Gian Piero Marchisio, lavorando con Joannin Marchisio, fu nominato gioielliere della famiglia reale. Nel 1859 nacque la Marchisio Giovanni, ditta individuale, e la gioielleria ottenne dalla città di Torino il primo prestigioso punzone 1TO, che attesta le radici storiche dell’impresa. Anni dopo, il suo discendente, Felice Marchisio, anche lui orafo a Torino, si trasferì a Parigi per imparare le nuove tecniche di lavorazione. Non a caso gran parte dei termini che si usano ancora nella gioielleria italiana sono di origine francese.

Ma da Parigi il gioielliere italiano fuggì a causa dell’assedio dell truppe Prussiane (1870). Tornato a Torino, fondò la Marchisio Bros, che è poi diventata la più grande e più importante gioielleria della città: nel 1880 aveva oltre cento lavoratori. La storia della gioielleria, tra alti e bassi, guerre e crisi, è comunque proseguita. Fino alla Seconda guerra mondiale, che ha ha segnato una battuta di arresto. Ma nel 1968 la Giovanni Marchisio & co ha riaperto i battenti con la famiglia Mattioli.

Nel 2013 un nuovo passaggio: il Gruppo Richemont ha acquistato lo storico marchio. Il colosso svizzero del lusso, infatti, ha rilevato le quote dell’Antica Ditta Marchisio, acquisita dalla famiglia Mattioli. Marchisio è rimasta, comunque, produttore per diversi grandi marchi internazionali del settore, tra cui alcuni di Richemont stessa (Cartier, Piaget, Buccellati, Van Cleef & Arpels). Luciano Mattioli e la figlia Licia hanno poi creato una nuova azienda, la Mattioli. Federico Graglia




