Mario Buccellati, anello musone in oro e argento foderato in oro giallo, con zaffiro faccettato, brillanti fantasia e diamanti taglio rosa (1936)
Mario Buccellati 1936, anello musone in oro e argento foderato in oro giallo, con zaffiro faccettato, brillanti fantasia e diamanti taglio rosa

Buccellati, 100 anni di gioielli

«I tesori della Fondazione Buccellati. Da Mario a Gianmaria: 100 anni di storia dell’arte dei gioielli». Chi passa per Firenze, dal 2 dicembre al 22 febbraio può visitare una mostra dedicata alla grande maison dell’oreficeria. L’esposizione è a Palazzo Pitti. Sono un centinaio le opere selezionate, di cui una parte è destinata a diventare un’esposizione permanente in una sala del Museo degli Argenti di Palazzo Pitti. La scelta del luogo non poteva essere più appropriata: si tratta di oreficeria e argenteria dalla tecnica raffinata capace di competere con i pezzi medicei. Perché fu proprio Mario Buccellati a riprendere e valorizzare la tradizione orafa italiana, con una tecnica di traforo su fogli d’oro, come gli antichi romani, oppure il cesello rinascimentale di Benvenuto Cellini.

Una novità assoluta. Ma Buccellati è stato anche il primo a introdurre la tecnica di tessitura-incisione. Per esempio, gioielli con tante linee sottili e parallele che danno un effetto a specchio (rigato). Oppure incrociate, che imitano la superficie della tela di lino. O con texture «segrinata» con righe che vanno in tutte le direzioni possibili. Questa tecnica innovativa irrompe, agli inizi del Novcecento, in un mondo della gioielleria dominato dal gusto francese. Si contrappone un’estetica ispirata da capolavori come il bugnato di Palazzo Strozzi, il soffitto del palazzo Ducale di Mantova o il pizzo di Burano. Insomma, un made in Italy che dà a Buccellati un successo enorme, tanto da diventare l’orafo prediletto del poeta Gabriele D’Annunzio. E nella mostra infatti, non potevano mancare il bracciale in argento ritorto decorato con cinque lapislazzuli, contenuto in un astuccio firmato da d’Annunzio, una collana in oro giallo, decorata con un berillo e rubini, regalata a Eleonora Duse come gioiello «prezioso, ancorché bizzarro» o ancora, un portapillole con incisa una delle espressioni preferite del Vate: «Io ho quel che ho donato».

La dinastia. Dall’omaggio al capostipite dei Buccellati, nato ad Ancona nel 1891, ecco altri pezzi notevoli firmati dal figlio Gianmaria, il primo italiano, è bene ricordarlo, che è riuscito ad aprire un negozio in Place Vendôme, tempio parigino della gioielleria, quando di globalizzazione ancora non si parlava e nelle strade del lusso più famose del mondo trionfava l’orgoglio locale. Oggi Gianmaria, presidente onorario della Buccellati holding, ha voluto riunire in una fondazione pezzi unici, tra coppe, vasi e scatole appartenenti alla sua collezione personale, molti dei quali disegnati da lui. C’è lo Scrigno mediceo a forma decagonale realizzato nel 1970, che testimonia l’influenza della collezione del Museo degli Argenti sulla sua sensibilità artistica. E la spilla Gran Dama, quella a forma di Farfalla, la collana Pizzo Venezia. Tutti oggetti preziosi che, invece, testimoniano una produzione nel solco della tradizione paterna, ma dal gusto estroso, audace e personalissimo. Uguale in tutti questi anni è stato il perfezionismo: ogni oggetto era ed è curato nei minimi dettagli anche nel retro perché dalla perfezione di un’incassatura o di uno snodo, si riconosce la firma Buccellati.  Monica Battistoni

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