Da anni Club degli Orafi Italia e Intesa Sanpaolo presentano periodicamente i risultati di una ricerca sul business del comparto in Italia. L’appuntamento si è rinnovato in occasione di Oroarezzo. Risultato: il 2024 si è chiuso per il settore orafo italiano (incluso il comparto della bigiotteria) con una crescita del fatturato del 4,4%, in controtendenza rispetto agli altri comparti del sistema moda come tessile, abbigliamento e filiera della pelle, che hanno mostrato un calo del 9,1%.

Se si considera, però, l’indice di produzione, si registra una contrazione rispetto al 2023 pari al 3,2%. Tradotto: le imprese hanno prodotto meno gioielli, ma incassato di più. Le statistiche relative a gennaio e febbraio 2025 indicano un rallentamento nel fatturato, che resta comunque positivo, con una variazione di +2,4%, ma a fronte di una ulteriore riduzione nella produzione (-8,2%). Il prezzo dell’oro, salito alle stelle, c’entra.
Per quanto riguarda il 2024, è stato record per l’export di gioielli in oro: le vendite nei mercati internazionali sono state pari a 13,7 miliardi di euro (+49% in valore e +23% in quantità). Ma, avverte l’analisi, una parte rilevante di questo incremento è legata alle maggiori esportazioni verso la Turchia che sono passate da 922 milioni di euro a 5,3 miliardi, rendendola di gran lunga il primo mercato di riferimento. In sostanza la Turchia non potendo, per una legge in vigore, acquistare i lingotti, compra semilavorati in oro, che riutilizza.

Lo prova il fatto che al netto della Turchia le esportazioni in valore sono rimaste sostanzialmente stabili (+0,9%), mentre il dato in quantità avrebbe registrato addirittura un calo del 6%. Buono l’andamento delle vendite verso gli Emirati Arabi Uniti (+9,7%) che hanno superato per importo le esportazioni verso Stati Uniti (-10,7%) e Svizzera (-9,4%). Dal punto di vista territoriale, Arezzo si conferma come il distretto più rilevante in termini di esportazioni che sono più che raddoppiate (+119%) e hanno raggiunto il valore di 7,7 miliardi di euro, grazie anche al maggior coinvolgimento nella crescita nel mercato turco. In crescita anche le esportazioni di Vicenza (+15%) mentre è in calo il distretto di Valenza (-2%). I territori maggiormente legati al mercato turco sono Arezzo e Vicenza, ma anche al netto di questo contributo mostrerebbero crescite superiori al 7%.

Negli Usa nel 2024 le esportazioni di gioielli in oro hanno superato 1 miliardo di euro e l’Italia rappresenta il terzo partner per le importazioni degli Stati Uniti con una quota del 12% dopo India (25%) e Francia (14%). Le province più esposte sul mercato americano in termini di esportazioni di gioielli e bigiotteria sono Torino (22%), Treviso (18%), Vicenza (17%), e con un inserimento maggiore della media nazionale che si attesta al 9%. E ora c’è la tagliola dei dazi.

Il contesto geo-politico (leggi: effetto Trump) ha influito sul sentiment degli operatori con una revisione in negativo per il 57% dei rispondenti rispetto a gennaio. Complessivamente per il 2025 le attese restano positive per il 21% degli interpellati dal sondaggio. Maggior ottimismo si rileva per le imprese che si occupano di produzione (il 28% stima una crescita del fatturato nel 2025) e un contributo rilevante è atteso ancora dai mercati internazionali dove un’impresa su tre valuta di incrementare le proprie vendite.

Le maggiori criticità nella domanda sono legate per le imprese di produzione al contesto interno e all’attivazione dei brand del lusso (44%), mentre per le imprese del commercio le tensioni sono legate ai consumi interni (71%). Questa edizione dell’indagine si poneva come obiettivo anche l’approfondimento del tema della filiera di fornitura. I fattori più rilevanti nelle relazioni di filiera si confermano la qualità delle lavorazioni (76%), il rispetto
dei tempi (66%) e il rapporto qualità prezzo (51%) in un contesto di rapporti localizzati prevalentemente a livello locale: il 73% delle imprese intervistate ha indicato la presenza di una catena di fornitura articolata solo in Italia. Il processo di mappatura e verifica della rispondenza ai requisiti di sostenibilità e qualità del prodotto risulta più strutturato per le imprese medio-grandi che solo nel 6% dei casi dichiarano di non prevedere controlli, mentre il tema diventa più rilevante per le imprese più piccole dove più della metà dei partecipanti ha evidenziato l’assenza di attività di controlli.