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Adieu Pomellato, a giorni parlerà francese

[wzslider]Adieu Pomellato. La vendita al gruppo francese Ppr sembra ormai vicina: la cessione dovrebbe avvenire entro fine marzo. A rivelarlo è l’agenzia Reuters. Ma c’è una novità rispetto alle previsioni dei giorni scorsi: la famiglia Damiani dovrebbe rimanere azionista di minoranza. Ora ha il 18% del capitale: i Damiani avrebbero anzi presentato un’offerta di acquisto alternativa a quella di Ppr, con l’aiuto del fondo Dgpa, private equity guidato da Maurizio Dallocchio, con l’obiettivo di creare un polo italiano della gioielleria. Ma i francesi hanno messo sul piatto una cifra maggiore. I soci di maggioranza di Pomellato, il fondatore Pino Rabolini e l’amministratore delegato Andrea Morante, riuniti nella holding Ra.Mo. (che detiene il 79% del capitale, per il 60% però in pegno a Unicredit) hanno quindi imboccato la strada per Parigi. F.G.

Damiani diventa Damianoff

[wzslider]Adesso chiamateli Damianoff. Pochi giorni fa Damiani ha aperto un nuovo flagship store a Mosca, accrescendo ancora il peso del brand in Russia. Visto che i consumi italiani non danno molte soddisfazioni, meglio buttarsi sull’export: questa è la 65esima boutique Damiani. L’azienda di Valenza, d’altra parte, ha a Mosca già dieci i rivenditori autorizzati. Il negozio appena aperto ha le vetrine affacciate su Stoleshnikov Pereulok, al numero 11/1. «Questa nuova boutique Damiani rappresenta un passo importante per la nostra strategia di espansione nell’area. Stoleshnikov è la via migliore di tutta Mosca e da tempo cercavamo lì la location giusta», ha commentato ha affermato Guido Grassi Damiani, presidente e amministratore delegato del gruppo. Che ha immortalato l’avvenimento su Twitter. «Siamo già presenti in diverse zone dell’Ex Urss, abbiamo boutique a Kiev e Odessa in Ucraina, ad Almaty e Astana in Kazakhstan, a Baku in Azerbaijan e apriremo a breve in Kirghizistan, e i nostri gioielli sono distribuiti in tutta l’area. Aver trovato una clientela così attenta alla qualità e alla tradizione non può che trovarci orgogliosi e soddisfatti», ha concluso il manager e azionista. F.G.

 

Damiani, conti rosso rubino

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I conti di Damiani non sono molto brillanti. Il consiglio di amministrazione del gruppo di Valenza ha approvato il resoconto di bilancio al 31 dicembre 2012, relativo ai primi nove mesi dell’esercizio 2012-2013 (l’anno fiscale si concluderà a fine marzo). Risultato: crescita delle vendite nel segmento retail, ma rosso nei conti. I negozi monomarca Damiani gestiti direttamente, in Italia e all’estero, è scritto nella relazione, hanno registrato ricavi in incremento del 26%. In Italia vanno bene le boutique multimarca Rocca, però le vendite all’ingrosso risultano fortemente penalizzate «a causa della cautela negli acquisti da parte dei dettaglianti». E purtroppo il fatturato del gruppo è circa per il 70% realizzato in Italia. La conseguenza è che i conti non vanno per niente bene: la crisi dei consumi nei primi nove mesi ha depresso i ricavi a 107,5 milioni di euro, con una discesa del 9,1% (erano 118,2 milioni di euro nell’analogo periodo dell’esercizio precedente). Ragione per cui nel bilancio c’è il segno rosso: Damiani registra un Ebitda (cioè un margine lordo) consolidato negativo per 1 milione di euro, rispetto ai 1,4 milioni di euro positivi dell’anno precedente. E i Damiani fanno sapere anche che il segno negativo è contenuto grazie ai risparmi per alcune componenti di costo. Male anche il risultato operativo consolidato, che è negativo per 3,2 milioni di euro, peggio rispetto ai –0,8 milioni di euro al 31 dicembre 2011.

Che bisogna aspettarsi per la fine dell’anno fiscale? L’azienda ha implementato, spiega una nota di bilancio, «una serie di azioni che si completeranno entro la fine dell’esercizio, con la finalità di razionalizzare alcuni processi aziendali». I benefici di queste non meglio precisate mosse, però, «saranno visibili solo nel prossimo esercizio 2013-2014, mentre il conto economico al 31 dicembre 2012 già registra i correlati costi». Infatti il gruppo Damiani deve registrare una perdita netta, sempre nei nove mesi 2012-2013 pari a –4,7 milioni di euro. Male, insomma, anche se meno tosta rispetto ai –5,3 milioni di euro al 31 dicembre 2011. In precedenza, Damiani ha chiuso il bilancio 2011 con una perdita di 11,9 milioni e quello 2010 con un rosso di 14,5 milioni. Così, poco corroborante è l’aumento dell’indebitamento: la posizione finanziaria netta negativa è di 36,7 milioni di euro (contro i 28,6 milioni di euro al 31 marzo 2012).

Pomellato sarà ceduta?

[wzslider] Pambianco, azienda di consulenza strategia e marketing specializzata nel settore fashion e lusso, dà una notizia bomba: Pomellato avrebbe accelerato le trattative per la cessione. Insomma, sarebbe vicina alla vendita, seguendo l’esempio di Bulgari che lo scorso anno è passata a Lvmh. La possibilità circolava da tempo, per la verità, ma adesso si sarebbe fatta più concreta. Il nuovo socio sarebbe «industriale», cioè attivo in un settore analogo o complementare a quello dell’azienda orafa. Pomellato, fa notare Pambianco news, si trova di fronte a un passaggio generazionale: fondatore Pino Rabolini si avvicina agli ottant’anni e non ha eredi operativi in azienda (una quota del 10% della società è dell’amministratore delegato Andrea Morante). Tra l’altro, la vendita potrebbe essere un modo anche per far uscire Damiani, socio che controlla il 18% del capitale attraverso la holding Sparkling e ha già manifestato l’intenzione di vendere. Pomellato fattura 138 milioni (nel 2011) con un ebitda (circa l’utile lordo) di 14,6 milioni. Potrebbe essere valutatae 300 milioni, il che equivarrebbe a un multiplo di 20 volte il margine 2011. C’è già chi azzarda i possibili acquirenti: innanzitutto Swatch, che ha appena comprato Harry Winston e ha una liquidità stimata 1,2 miliardi di euro. Pomellato aprirebbe la prospettiva di replicare nei gioielli (con il marchio Dodo), quanto avvenuto nell’orologeria con il marchio Swatch. In pole position anche Richemont (liquidità per 1,6 miliardi di euro) e i francesi di Ppr. Federico Graglia

Damiani e Cruciani uniti da un cuore

Due top player si uniscono per giocare d’attacco in vista di San Valentino, e non solo. Damiani e Cruciani concedono il bis e, dopo la serie che ha spopolato a Natale, propongono un nuovo braccialetto, sempre in serie limitata. Insomma, gioielleria e maglieria in cachemire uniscono i brand per dare vita a un bracciale in macramè: la chiusura del braccialetto, infatti, presenta un piccolo quadrifoglio in argento, con inciso «Cruciani con Damiani». Il soggetto, è quasi scontato, è l’amore, che si materializza in una serie di cuori assieme a tre sfere in argento. Questi monili sono alternati da altrettanti piccoli diamanti. Il gioiello è declinato in dieci diversi colori. Il bracciale sarà in vendita nelle boutique monomarca Damiani e Cruciani, nei negozi Rocca (catena di gioiellerie), ma anche in alcuni shop selezionati, anche di abbigliamento. Prezzo: 138 euro.

Cruciani e Damiani uniti dall'amore
Cruciani e Damiani uniti dall’amore

La gallery di Vicenzaoro Winter

[wzslider]Le immagini degli stand a Vicenzaoro Winter, che si è conclusa. Discreto numero di visitatori, più speranza che allegria tra gli stand, una buona dose di fantasia nei prodotti, con l’innovazione che serve spesso per tagliare i costi e raggiungere i consumatori italiani, che hanno ridotto gli acquisti di gioielli. E stand di qualità altalenante: guidicate voi.

Damiani, i conti brillano un po’ meno

[wzslider]«All’inizio dell’esercizio 2011/2012, e più precisamente in data 21 aprile 2011, i Consiglieri Guido Grassi Damiani, Giorgio Grassi Damiani e Silvia Maria Grassi Damiani hanno volontariamente rinunciato ai compensi per l’esercizio 2011/2012 deliberati dal Consiglio di Amministrazione ai sensi dell’art. 2389, comma 3, del codice civile, al fine di manifestare in tal modo, ancor di più, la propria viva affezione all’azienda». In tempi duri bisogna dare un segnale inequivocabile al mercato. E come direbbe Bersani-Crozza: «Signori, non siamo qui a lucidare il guscio delle cozze». Insomma, non si perde tempo e si manda a dire che gli azionisti di riferimento sono pronti a rinunciare allo stipendio per il bene della società. Decisione previdente. Perché già nella primavera 2011, con il governo Berlusconi in pieno avvitamento, la crisi dei consumi aveva bussato alla porta delle aziende del lusso. Le quali, al contrario di quanto è lecito credere, non sono immuni dalla recessione. Lo testimoniano i conti del gruppo di oreficeria quotato alla Borsa Italiana, che ha visto nel 2012 una difficile tenuta, ma non senza difficoltà. L’azienda, comunque, rimane sana e propositiva nonostante il perdurare delle difficoltà congiunturali. Forse anche grazie al beau geste dei proprio soci e manager.

Giorgio Damiani, SIlvia, la madre Gabriella e Guido Grassi Damiani
Giorgio Damiani, SIlvia, la madre Gabriella e Guido Grassi Damiani

Il gruppo. Ha (quasi) 90 anni, ma non li dimostra. La Damiani è stata fondata a Valenza nel 1924 da Enrico Grassi Damiani. È lui che ha iniziato a disegnare e produrre gioielli per le famiglie nobili dell’epoca e i ricchi borghesi della zona. La bottega orafa è stata ereditata da Damiano Grassi Damiani, il figlio, che ha continuato la tradizione di famiglia. I gioielli Damiani hanno acquistato sempre maggiore notorietà grazie anche all’idea, innovativa per quel tempo, di garantire il prezzo ai clienti e di creare cataloghi con tutte le collezioni. Negli anni Ottanta è invece cominciato il carosello dei volti dello star system, testimonial per un’azienda che ormai era proiettata sui mercati internazionali. Nomi come Isabella Rossellini, Brad Pitt, Nastassja Kinski, Chiara Mastroianni, Milla Jovovich, Jennifer Aniston, Gwyneth Paltrow, Sophia Loren o Sharon Stone sono stati (e sono ancora) abbinamenti che affermano il marchio in tutto il mondo. Oggi l’azienda, cresciuta fino a diventare un gruppo multibrand, è guidata dalla terza generazione dei Damiani. E ai gioielli ha affiancato gli orologi di alta gamma. Oltre a Damiani, del gruppo fanno parte i marchi Calderoni 1840, Salvini, Alfieri & St. John, Bliss, oltre alle linee in licenza (come Ferrari, Ducati e Maserati, Galliano Jewellery). La catena Rocca 1794 (oltre 200 anni di storia) è specializzata nel retail di orologeria e alta gioielleria. Ma il Gruppo Damiani è presente in Italia e nei principali mercati mondiali con 47 punti vendita diretti posizionati nei principali vie della moda italiana e internazionale.  Dal 2007 il gruppo è quotato sul listino di Piazza Affari.

Jennifer Aniston, Isabella Rossellini, Gwyneth Paltrow
Jennifer Aniston, Isabella Rossellini, Gwyneth Paltrow

I conti. Damiani chiude il bilancio al 31 marzo. I conti, quindi, sono sfalsati rispetto all’anno solare. Nel corso dell’esercizio terminato al 31 marzo 2012, l’azienda ha realizzato ricavi consolidati per 151,6 milioni di euro, con un ebitda (margine lordo) negativo per 4,3 milioni e un risultato operativo (ebit) anch’esso con il segno meno per 7,4 milioni. In rosso anche il risultato netto di gruppo per 11,9 milioni di euro. Ciò premesso, può sembrare curioso che l’azienda punti il dito contro i provvedimenti del governo Monti, accusato di deprimere i consumi, per giustificare i propri risultati economici. Insomma, se anche il 2011 (quando Monti non c’era) è stato chiuso in rosso, non si può certo additare lo spauracchio della Guardia di finanza per spiegare il calo delle vendite. Eppure è quello che si legge nella semestrale dei conti 2012, chiusa al 30 settembre. «Nel mercato domestico prosegue invece la contrazione dei consumi e una generale incertezza che determinano una minore propensione all’acquisto da parte della clientela wholesale», si legge nella relazioni di bilancio del semestre. «La contrazione dei consumi in Italia è dovuta anche ad un clima di sfiducia sicuramente non aiutato dal provvedimento del tetto massimo dei mille euro per i pagamenti in contanti imposto dal Governo. Per un settore come quello del lusso questo tetto frena le vendite e affossa i consumi. A ciò si aggiunge anche un generalizzato atteggiamento ostile ai beni di lusso che sono stati e sono tuttora una risorsa molto importante per il Paese e bandiera del Made in Italy». Il clima di ostilità al lusso è senza dubbio reale. Ma la lettura del conto economico andrebbe, diciamo così, più articolata. Poche righe prima, infatti, si spiega che «nel semestre i negozi monomarca Damiani gestiti direttamente in Italia e all’estero, seguendo un trend che si protrae ormai da tempo, hanno continuato a crescere registrando complessivamente ricavi in incremento del 27,4% a testimonianza dell’apprezzamento delle collezioni e del brand da parte del consumatore finale». Insomma, si dice che 1) ci sono più negozi, 2) i ricavi al dettaglio sono aumentati di quasi un terzo. Non è proprio coerente con il timore di essere tracciati oltre i mille euro. Non solo: «Anche le boutique multibrand hanno registrato un buon andamento, in miglioramento rispetto al 30 settembre 2011 anche in Italia». Eppure, i conti non sono brillanti, è il caso di dirlo: «Nel corso del primo semestre dell’esercizio 2012/2013, il Gruppo ha conseguito Ricavi da vendite e prestazioni pari a 57,7 milioni di euro, rispetto ai 61,2 milioni di euro registrati nell’analogo periodo dell’esercizio precedente, con una variazione negativa del -5,8%, a tassi di cambio correnti». Il vero problema è invece che sono calati, di parecchio, i ricavi del canale all’ingrosso. Il fatturato del wholesale nel semestre è  infatti sceso  a quota 34,150 milioni, contro i 40,090 del corrispettivo periodo precedente, con un calo del 15%. Da notare che l’incidenza di quest’area di business è passata da 65,4% a 59,1%. Insomma, se le vendite al dettaglio sono aumentate e invece è diminuito l’acquisto da parte dei rivenditori, è forse qui che, si potrebbe presumere, ha inciso l’obbligo di usare pagamenti tracciabili con il conseguente taglio del «nero»? La logica può portare in questa direzione, ma l’ipotesi è, naturalmente, tutta da verificare. Di sicuro, come afferma il gruppo, si è ridimensionato il peso del mercato italiano da 74 al 67,5% sui ricavi totali. È aumentato invece il ruolo del Giappone dal 7,6 al 9,6% del fatturato, così come quello catalogato Resto del mondo (da da 13,6 a 18,6%), mentre risulta in leggero calo il business in America Nord e Sud (da 4,7 a 4%). I sei mesi di Damiani, insomma, sono in bianco e nero, con un risultato operativo consolidato  negativo per 4,0 milioni di euro, che però è in contenuto miglioramento rispetto ai –4,8 milioni al 30 settembre 2011. Le vendite natalizie diranno quanto questo margine è stato recuperato.

Damiani, Baci
Damiani, Baci

Il futuro. Il domani è oggi, ma non qui. Damiani, come molte altre realtà del lusso, punta sullo sviluppo dei Paesi emergenti, ma non solo. Nel febbraio 2012 il gruppo ha annunciato un accordo strategico con Itochu, colosso giapponese con oltre 70mila dipendenti presente in 80 Paesi. L’accordo prevede l’ingresso di Itochu nel capitale della filiale giapponese Damiani Japan K.K. con una partecipazione di minoranza del 14% tramite un aumento di capitale riservato. L’obiettivo è rafforzare la presenza del gruppo Damiani in Giappone. Non poteva mancare una puntata in Cina: a maggio del 2012, Damiani ha infatti concluso un contratto esclusivo con il gruppo Hendgeli, leader nella distribuzione di alta orologeria e gioielleria in Cina. È il primo passo, si presume, di una lunga marcia nel Paese di mezzo, dove il gruppo è già presente. Federico Graglia

Medusa, anello di oro bianco, brillanti e zaffiri
Medusa, anello di oro bianco, brillanti e zaffiri

Reuters: Italia meno d’oro, è battaglia sull’export

Secondo l’agenzia Reuters, l’Italia ha perso la sua leadership di esportatore gioielli d’oro, superata da India e Stati Uniti. Non solo: rischia di scivolare ulteriormente a causa del costo elevato della produzione e per le barriere tariffarie. Per anni l’Italia è stata il più grande produttore ed esportatore mondiale di prodotti in oro. Aziende come Bulgari, Damiani e Roberto Coin sono stati (e sono ancora) marchi di lusso italiani celebrati in tutto il mondo per l’uso del metallo giallo abbinato a pietre preziose e design d’avanguardia. Ma il settore orafo italiano, secondo l’agenzia britannica, sta combattendo una dura battaglia contro i dazi punitivi imposti dai mercati come la Cina, e la concorrenza da parte dei produttori a più basso costo, che beneficiano del miglioramento delle competenze e tecnologie più avanzate.

L'Italia esporta il 70% dei gioielli d'oro che produce
L’Italia esporta il 70% dei gioielli d’oro che produce

A incidere sono stati anche l’impennata dei prezzi di oro e gli alti salari, che hanno ulteriormente gonfiato i costi. Inoltre, le vendite di gioielli d’oro in Italia sono crollate a causa della recessione. “La domanda di gioielli è una delle prime a scendere in una recessione”, commenta Licia Mattioli, presidente di Federorafi, e a capo di un’azienda orafa a Torino. Le vendite di gioielli in oro in Italia sono diminuite del 15% in termini di volume (a 4,8 tonnellate) e del 9% in termini di valore (246 milioni di dollari) su base annua nel secondo trimestre, secondo i dati del World Gold Council.

Steven Tranquilli, direttore della Federazione Italia di distributori di gioielli, Federdettaglianti Orafi, stima che in Italia le vendite di gioielli d’oro al dettaglio siano diminuite del 20-25% in un anno. E secondo Federorafi, i ricavi totali del settore nel 2011 sono state pari a 6,3 miliardi di euro, in calo del 16% dal 2007.

Gioielli Damiani
Gioielli Damiani

Così ora India e Stati Uniti hanno superato l’Italia come esportatori, perlomeno in termini di volume. A questo si aggiunge la forte concorrenza dei Paesi a basso costo di lavorazione, come Cina continentale, Hong Kong e Thailandia. L’export soffre anche per gli alti dazi. I produttori indiani e brasiliani pagano tasse doganali basse quando esportano i loro gioielli nella Ue. Ma in quei Paesi ci sono freni all’import. Inoltre, i produttori di India e Stati Uniti beneficiano di maggiori economie di scala rispetto alla natura frammentaria del settore degli orafi italiani, aziende centrate a Vicenza, Valenza, Arezzo e Bassano del Grappa, la maggior parte a gestione familiare con piccole botteghe artigianali.

Come se ne esce? Secondo Reuters, bisogna migliorare le capacità di progettazione e la tecnologia, oltre ad abbassare il costo del lavoro. C’è poi da migliorare l’export. I produttori di gioielli d’oro si riuniscono tre volte l’anno, a gennaio, maggio e settembre, per le fiere di VicenzaOro di Vicenza, che attirano centinaia di acquirenti al dettaglio da tutto il mondo alla ricerca delle creazioni più interessanti per i loro negozi. E di fronte alle difficili sfide del mercato nazionale, i produttori italiani di gioielli stanno rivolgendo la loro attenzione sempre più verso i mercati a rapida crescita. Secondo gli ultimi dati di VicenzaOro, le principali destinazioni per la gioielleria italiana nel primo trimestre del 2012 sono stati la Svizzera (363 milioni di euro, il 22% del totale), gli Emirati Arabi Uniti (237 milioni di euro, pari al 14,3%), e gli Stati Uniti (142 milioni di euro, pari al 8,6%).

Bulgari, marchio italiano che è emigrato in Francia
Bulgari, marchio italiano che è emigrato in Francia

 L’Italia esporta circa il 70% dei propri gioielli in oro, il resto è venduto sul mercato interno. “Ma il grosso problema per le esportazioni italiane di gioielli d’oro sono i dazi all’importazione nei paesi Bric”, aggiunge Mattioli, riferendosi a Brasile, Russia, India e Cina. L’industria italiana sta facendo pressione l’Unione europea per superare la sfida dei dazi, ma a Bruxelles hanno risposto che l’alta qualità delle esportazioni italiane di gioielli dovrebbe garantire la penetrazione nei mercati asiatici in rapida crescita, tra cui la Cina. “La Cina gestisce dazi all’importazione consistenti, un freno importante per affari per le imprese italiane,” commenta Mattioli. “Abbiamo bisogno di discutere a livello internazionale il problema dei dazi all’importazione”. Secondo gli esperti di VicenzaOro, comunque, le esportazioni verso la Cina nel primo trimestre del 2012 sono aumentate del 52,7% a 38,2 milioni di euro, spingendo il Paese secondo posto tra le destinazioni di esportazione.

Innovazione di design e marketing sono le chiavi per il successo. A livello retail, per esempio, Damiani ha registrato un forte incremento. “Ci sono mercati esteri che sono in rapida crescita e in cui il nostro gruppo vede grandi possibilità, come la Cina, in cui Damiani è già presente con otto negozi e presto ne aprirà altri cinque, e le ex repubbliche sovietiche, dove una nuova boutique sarà inaugurata presto a Mosca “, ha confermato Guido Damiani, presidente e ceo del gruppo omonimo. Insomma, non tutto è perduto, per fortuna.

Mps: i gioielli sono un ottimo investimento. Perché…

[wzslider]Investire in gioielli è un vero affare. Specialmente nei momenti di turbolenza economica, come quello che viviamo da qualche anno. Lo sostiene il Monte dei Paschi di Siena, che ha realizzato uno studio sul mercato dell’arte e su quello dei preziosi. L’indagine sul mercato dell’arte del Mps analizza l’andamento del mercato della pittura, distinto in tre segmenti di riferimento, sintetizzando i risultati delle maggiori transazioni di case d’asta (circa 1.550 le osservazioni totali) in tre indici secondo il periodo storico di riferimento: MPS Art Old masters e 19° secolo Index, MPS Art Pre War Index e MPS Art Post War Index. Le evidenze dei 3 indici sono infine sintetizzate nel MPS Global Painting Art Index.

Ma, come anticipato, la disamina non finisce qui. Gli esperti hanno anche introdotto  indici che mirano ad analizzare l’andamento delle cosiddette arti minori: oggetti antichi, arredi e sculture, gioielli, vini e fotografia. All’interno delle arti minori si è analizzato l’andamento del comparto Jewels rispetto alle altre arti minori data la particolare funzione di bene rifugio ricoperta da questo segmento. Il segmento più importante dopo la pittura, infatti, è rappresentato dai gioielli e orologi, le cui aste spiccano per gli elevati fatturati medi e che complessivamente pesa il 14,2% dei ricavi totali (+3,1% rispetto alla quota del primo semestre 2010). Tale segmento è previsto in ulteriore crescita dagli esperti del Mps, visto il successo che soprattutto le aste di pietre e preziosi stanno riscuotendo su tutte le piazze continentali.

Conclusioni: il peso tra i vari segmenti pare sia destinato ancora a cambiare, con un rafforzamento delle arti minori che mostrano, nel solo ultimo anno solare e in tutte le categorie, performance migliori, in termini di variazioni percentuali, rispetto al Mps Global Painting Art Index.

Il MPS Jewels index riassume l’andamento delle aste di gioielli, orologi e pietre preziose dei più importanti centri internazionali: Ginevra, Londra, New York e Hong Kong. Il segmento mostra i tassi di crescita più interessanti del comparto delle arti minori, con un progresso del 160,8% negli ultimi 5 anni (primo semestre 2011 su primo semestre 2006).

Nel confronto con il MPS Arti Minori Index Without Jewels (+71,0% tra il 2006 e il 2011), è evidente il successo dei preziosi, che al momento si confermano bene rifugio per eccellenza, con una performance stimata per il 2011 +10,0% (ultimo dato preso in considerazione allo studio).

I gioielli si rivelano anche un bene piuttosto «liquido», perlomeno per i pezzi di alta qualità: le aste considerate dimostrano che i gioielli firmati o d’antichità sono un investimento sicuro. Oltre ai diamanti rimangono sempre molto apprezzate le pietre naturali (non trattate) e le perle naturali (non coltivate). Il successo del segmento è da attribuire a due motivi principali: 1) il gioiello è visto come un bene rifugio di garanzia; 2) il valore del sottostante (oro, argento, diamante…) è cresciuto sensibilmente in questo periodo di recessione.

Certo, non è automatico vendere un gioiello, ma non più di un quadro di pittura. I tassi di unsold registrati negli ultimi cinque semestri, notano gli analisti della banca senese, si assestano nella regione dei tassi medi del quinquennio (tasso medio per lotto 21,4%, per valore 17,6%), e al di sotto dei picchi raggiunti nel 2008: il mercato negli ultimi due anni sembra aver trovato un equilibrio sostenibile per domanda e offerta.

Rispetto al passato la domanda di preziosi si concentra più su diamanti di qualità superiore, pietre con colorazione particolare come il Birmano per i rubini, il Kashmir per gli zaffiri e il Colombiano (Muso) per gli smeraldi.

Sulla piazza newyorkese sono apprezzati soprattutto i diamanti di grande caratura bianchi, come pure le grandi pietre di colore e i diamanti colorati. I gioielli degli anni ’20 e ’50 sono molto graditi sia nel vecchio sia nel nuovo Continente. Il mercato inglese è più orientato verso i diamanti a taglio cushion per la loro particolare lucentezza e per il loro fascino. In Italia si afferma sempre più l’interesse per i gioielli d’epoca, grazie ad una consolidata tradizione orafa che ha prodotto manifatture, design e proporzioni di qualità elevata. Le firme, note a livello internazionale, aggiungono valore al gioiello mediante design raffinati e fattura perfetta.

Non mancano, infine, i consigli per chi decide di lanciarsi in un investimento in diamanti. È necessario, spiegano gli esperti, valutare le cosiddette 4 C: colore (Color), purezza (Clarity), taglio (Cut) e caratura (Carat). Da non trascurare, inoltre, proporzioni, fluorescenza e politura.

Il mercato dei gioielli di pregio è sintetizzato in una serie di grafici. Il rendimento del MPS Jewels Market Value Index nell’intero periodo di osservazione (settembre 2008-settembre 2011) è decisamente positivo (+63,5%) e superiore agli altri indici borsistici nazionali considerati, tutti in terreno negativo: SMI (-4,9%), CAC 40 (-36,7%)** e Ftse Mib (-54,5%) ad eccezione dello S&P 500 (+2,7%).

L’investimento borsistico nel gioiello di lusso risulta essere l’unico positivo rispetto ai maggiori indici rappresentativi dei 4 paesi che contribuiscono, con loro società, alla definizione del MPS Jewels Market Value Index (Damiani e Bulgari per l’Italia, LVMH, Hermès e Dior per la Francia, Richemont per la Svizzera e Tiffany & Co. per gli Stati Uniti).

Attenzione, però: i pericoli non mancano. Il segmento del gioiello di lusso, continua lo studio, è sottoposto a numerose minacce: 1) sempre più forte interesse per beni sostitutivi destinati a soddisfare il benessere psico-fisico (es. viaggi, SPA, palestre, ecc); 2) maggiore domanda per le produzioni della fashion industry soprattutto da parte dei più giovani, attratti da prezzi meno proibitivi e caratteristiche innovative; 3) preferenza per i prodotti-moda più che per i prodotti-valore; 4) forte stagionalità delle vendite in alcuni periodi dell’anno (per i gioielli Natale e San Valentino); 5) rischio di contraffazione; 6) rischio reputazionale (per esempio quando la produzione viene decentrata all’estero); 7) cambiamento nel gusto dei consumatori, spesso improvviso e non motivato. Gli alti tassi di disoccupazione e i livelli delle aliquote fiscali nei mercati emergenti sono fattori in grado di influenzare la domanda. Inoltre, i prodotti del mercato del lusso hanno natura di bene secondario e ciò li rende suscettibili alla congiuntura macroeconomica circostante rendendo necessario il costante potenziamento e rilancio del marchio.

 Anche per questo nei mesi scorsi la performance del MPS Jewels Market Value Index ha risentito della difficoltà dei mercati finanziari (-20,5%), ma sono state negative anche le performance di tutti gli altri indici che oscillano dal -31,9% del Ftse Mib al -10,7% dello S&P500.

Sulla performance complessiva del MPS Jewels Market Value Index hanno comunque inciso soprattutto LVMH (-19% ca.) e Richemont (-23% ca.) che complessivamente pesano per il 70% ca. sull’intero indice.

Poco significativa sulla performance dell’indice la crescita del titolo Bulgari (+50% ca.) a seguito dell’OPA lanciata da LVMH, a causa del suo limitato peso sull’aggregato (4,5% ca.). Federico Graglia

 

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