Place Vendôme, uno dei luoghi più famosi di Parigi e anche una dei miti della gioielleria. È un punto di osservazione privilegiato per capire le tendenze, anche quelle del marketing, per un oggetto così sofisticato e privilegiato come l’alta gioielleria, frutto della combinazione di passione, capacità manuale e sensibilità artistica. Insomma, Place Vendôme è la capitale virtuale della gioielleria, dove si affacciano le vetrine dei gioiellieri con alle spalle una tradizione a volte centenaria come Boucheron, Van Cleef & Arpels, Piaget o Cartier.
Segreti di gioiellieri
La vicinanza topografica dei brand rende più intensa la competizione per attrarre i clienti disposti a spendere migliaia e, a volte, milioni di euro, per le loro creazioni. Per questo la prima sfida dei gioiellieri è rendere l’acquisto un’esperienza straordinaria. I gioielli devono piacere, rappresentare il lusso, ma anche raccontare una storia. I clienti sempre più spesso vogliono sapere dove, come e sono stati progettati e realizzati. Da qualche anno conta anche la provenienza dei materiali: oro e diamanti devono sfoggiare un pedigree irreprensibile, provenire da miniere certificate, dove non si sfruttano (eccessivamente) i lavoratori.
In ogni caso, in Place Vendôme c’è un pezzo di storia della gioielleria. Non sono poche le grandi Maison che hanno oltre un secolo di vita e che custodiscono preziosi archivi con disegni, gli ordini di clienti facoltosi e/o nobili, gioielli antichi, come testimonia il museo Chaumet, dove è depositato anche il lavoro del direttore artistico, Claire Dévé-Rakoff. E a due passi dalla piazza, in Rue Cambon, si trova l’appartamento in cui è vissuta Mademoiselle Chanel,con le camelie, i leoni e il numero fortunato della stilista, il 5: l’appartamento non è aperto al pubblico, ma può diventare un luogo in cui mostrare alta gioielleria ai clienti più selezionati.
La narrazione di un gioiello è una magnifica confezione. Ma, naturalmente, è il valore dell’oggetto a essere in primo piano. Da qualche anno, per esempio, sono le pietre preziose o semi preziose, con i loro colori, a essere molto ricercate, accanto ai classici diamanti. Per questo selezionare le gemme da incastonare sui grandi gioielli di Place Vendôme è fondamentale. E il lavoro di chi viaggia per il mondo alla ricerca di gemme straordinarie è la chiave del successo di Maison come Bulgari, dove Lucia Silvestri da anni ricopre questo ruolo con successo. Oppure di Thierry Robert, che ricopre lo stesso ruolo per Boucheron: mettere a disposizione dei direttori artistici un assortimento di pietre per dimensioni o colore, valutarne le inclusioni, le sfumature e i punti di forza vuole dire valorizzare la gemma. Van Cleef & Arpels ha avuto l’idea di mettere insieme tutte le sue esperienze nella sua scuola, che ha aperto nel 2012. La scuola consente di frequentare lezioni di tecnica o di storia tenute da storici ed esperti. In questo modo i clienti diventano specialisti che non acquistano solo un design o un segno di ricchezza, ma siventano anche consapevoli del lavoro che c’è dietro un pezzo di alta gioielleria e ne comprendono il prezzo. non da ultimo, sono disposti ad aspettare qualche mese per l’oggetto del loro desiderio senza brontolare. È un’idea di Nicolas Bos, appena passato dal vertice della Maison al ruolo di amministratore delegato di Richemont, la società che controlla anche brand come Cartier, Buccellati, Vhernier.
La guerra tra vetrine
C’è chi entra in una boutique sapendo già che cosa vuole acquistare. Ma buona parte dei clienti si sofferma davanti alle vetrine e, a volte, rimane affascinata da questo o quel gioiello. È una motivo in più che spinge alla competizione chi cura il design degli oggetti esposti, che in Place Vendôme non possono essere messi in mostra in modo casuale. La cura è estrema. Le vetrine sembrano rappresentazioni teatrali dove inizia lo storytelling del gioiello o della Maison. In passato, per esempio, leggendarie sono state le vetrine di Annie Beaumel e Leila Menchari per Hermès. Ma anche oggi la superficie di vetro (blindata) è una finestra sui sogni che ogni brand cerca di interpretare al meglio con un lavoro di immaginazione, capriccio, fantasia, colori. Ma non è facile. La vetrina è grande, i gioielli sono piccoli: c’è il rischio che scompaiano se l’allestimento è troppo vivace. Soline d’Aboville, fondatrice dello studio Manymany, che ha allestito vetrine per Boucheron e Chanel, per esempio, sostiene che bisogna catturare l’attenzione da lontano, ma poi sono i gioielli a dover essere messi in primo piano. Senza dimenticare i codici di riconoscimento, come il colore rosso e la pantera per Cartier, il leone, il bianco e nero e la camelia di Chanel.
Christel Sadde, designer di mobili, tempo fa ha creato un insieme insolito e affascinante per Chaumet, con medaglie d’oro traforato. È stata utilizzata anche l’abilità virtuosistica di Mathilde Nivet con la carta, materiale estremamente popolare per i gioielli. Fred, Mellerio, Bulgari, Chaumet: molti si sono rivolti alla al suo lavoro per la capacità di scolpire, piegare, e trasformale la carta in piume, fiori, castelli.
Il logo della Maison è altrettanto importante. Per Louis Vuitton il quadrifoglio della fortuna, la mongolfiera o, più recentemente, la lettera V sono gli elementi che caratterizzano il brand. Da Van Cleef & Arpels, invece, ama le fiabe, come I viaggi di Jules Verne, la Pelle d’asino il mondo del balletto, tra luci, colori e illusioni ottiche.
Lo scrigno segreto
Le grandi Maison di Place Vendôme, ma il discorso può essere esteso anche a quelle che non si affacciano sulla grande colonna di bronzo che si trova al centro, hanno un’altra arma di marketing: la confezione, che fa parte dell’arte del regalo. Sebbene un box con all’interno un gioiello abbia un valore omeopatico rispetto a quello del suo contenuto, anche la confezione fa parte del piacere di acquistare un gioiello. Deve essere all’altezza dell’anello o della collana, essere subito associato alla marca. Come i classici e inconfondibili astucci di Tiffany, dalla tonalità verde-azzurro che ha un nome: si chiama 1837 Blue, secondo Pantone. Cartier, invece, punta sul colore rosso con fregio di pizzo in oro. I gioielli della Maison Vuitton, invece, sono racchiusi in contentitori con il famoso Monogram e sono realizzati nei laboratori della casa, a Asnieres.
Attenzione: è vero che un contenitore per gioielli ha un valore di gran lunga inferiore rispetto all’anello o alla collana che contiene. Ma ci sono anche astucci realizzati in legno di pioppo e foderati in pelle che possono costare anche migliaia di euro. E Solange Azagury-Partridge, designer britannica che è stata direttore artistico di Boucheron, aveva realizzato un box con un interno foderato con visone scuro. Non sono la maggior parte, ovviamente. Per questo ormai buona parte dei piccoli scrigni in pelle e foderati di velluto costano molto meno, anche se continuano a rappresentare la prima cosa che vede e tocca chi riceve un gioiello in regalo. Restano, insomma, molto importanti perché rappresentano la Maison. Inoltre, sono una garanzia nel caso si voglia, in un secondo tempo, mettere in vendita il gioiello. Infine, i piccoli scrigni possono nascondere un ciondolo o messaggi d’amore, forse un regalo gradito (quasi) come il gioiello.