Di che colore è il domani degli orafi? Sarà d’oro oppure di piombo? Saranno schiavi del marketing? A Milano il Club degli Orafi ha organizzato una sorta di Stati Generali dell’oreficeria per cercare (forse) di comprenderlo. L’arduo compito è stato affidato a Enrico Finzi, presidente AstraRicerche. Secondo la sua analisi, la crisi ha causato una moria di negozi. Ma il lato buono della medaglia p che i sopravvissuti hanno una fetta potenziale di clienti maggiore. Dunque, che fare? Finzi si è lanciato nei dieci comandamenti per gli orefici, sul sacro altare del marketing. Eccoli.
- Non bisogna distinguere più tra produttori e distributori: i destini sono sempre più strettamente legati, con imprese che scelgono i distributori come partner, e retailer che la piantono con l’ossessione di tenere di tutto un po’, ma imparano a vincere tenendo molto di meno brand. Addio ai numeri molto elevati di marche e piccole marche o, peggio, unbranded o mettendoci qualcosa a proprio nome, con una sorta di private label di qualità. Insomma, è indispensabile scegliere e bisogna immaginare la filiera non come una stretta partnership.
- Il produttore deve individuare alcuni marchi o semi brand strategici per il marketing del suo prodotto (il distributore ha come oggetto il suo punto vendita, l’assortimento è strumentale rispetto alla sua attività). Devono scegliere partner commerciali che gli garantisca una presentazione adeguata dell’assortimento, mentre i retailer devono selezionare i fornitori e averne molto di pochi. Scegliere è una parola chiave per essere scelti, il modello Bata, dove c’è di tutto un po’, funziona per le calzature, ma non per le gioiellerie.
- I produttori devono selezionare a loro volta i clienti paganti. Motivare i prodotti non solo quelli che si vendono da soli, appannaggio dei grandi marchi. Ci vogliono assortimenti selettivi meno ampi in numero di marche, ma più lunghi come prezzo. È poi visibili in vetrina per sconfiggere il web che offre accessibilità.
- La location: è il momento storico per cambiarla e renderla riconoscibile. L’arredamento non deve essere blindato per ragioni di sicurezza, perché si tengono fuori i giovani e i potenziali clienti si sentono intimiditi. E poi l’accessibilità serve a contrastare l’effetto web. Insomma il punto di vendita non deve essere respingente, deve essere macchina per comunicare e non solo per vendere. La visibilità anticipa le sensazioni della shopping experience. Nel settore della gioielleria il titolare e la commessa devono essere friendly. Gli interventi di illuminotecnica costano poco e la parola d’ordine è «scaldare l’ambiente».
- I prezzi: varietà accessibilità dal basso ed estensione verso l’alto, anche dentro una marca. Gli sconti non devono essere generalizzati, ma selettivi e personalizzati. Bisogna fare il contrario delle profumerie.
- I servizi: nel punto vendita devono essere più numerosi del passato. Bisogna usare lo strumento della prevendita, creare aspettative. Considerarlo come una semina.
- Competenza nella vendita: è necessaria dopo anni di prodotti che si vendono da soli. La competenza deve essere assoluta, bisogna dedicare risorse alla formazione dei commessi e i produttori devono basare la scelta dei partner retailer anche in base a questo aspetto. Deve essere anche rassicurante per contrastare l’incertezza sul proprio patrimonio: l’acquisto di un gioiello implica una spesa in meno per il cliente. Bisogna assicurare che l’acquisto è un investimento.
- La cultura sul gioiello: è diventato democratico, troppo, e c’è un impoverimento culturale della domanda. È difficile trasferire la cultura del gioiello, ma è fondamentale per rassicurare il cliente. Il punto di vendita rispetto al web ha il vantaggio di poter supportare e orientare la scelta del cliente con empatia su prodotti proposti come la cosa giusta, per quella persona (ma su questo obiettiamo: gioiellis.com fa cultura del gioiello). C’è il boom dell’auto-regalo femminile per superare un dolore o per gratificarsi, mentre gli uomini stanno perdendo il gusto di regalare un monile.
- Il servizio post vendita, la riparazione, la rimessa a modello e altre iniziative puntano a mantenere il cliente con sconto personalizzato magari per il compleanno. Il prodotto deve essere personalizzato, il gioiello come quello della nonna rubato.
- Infine, integrazione tra offline e online: il web è insostituibile per info e galleria prodotti e seduzione. Poi, si acquista in negozio con le persone. Infatti, il decimo comandamento parla di depressione collettiva di categoria e filiera dovuta ad anni troppo duri. Insomma, bisogna per supportare il marketing dell’inutile, che se funziona diventa il marketing della felicità, per dare un di più alla vita, che mira a trasmettere entusiasmo.