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Damiani spinge sul digitale e chiama Andrea Ferrazzi


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Damiani ha nominato Andrea Ferrazzi a capo del dipartimento Digital. Obiettivo: rafforzare e strutturare ulteriormente il processo di digitalizzazione già in corso nel Gruppo. Ormai le vendite, anche per il settore gioielli, non passano più solo attraverso il canale tradizionale, cioè le boutique. Per questo Damiani ha in programma il rafforzamento e lo sviluppo di una piattaforma e-commerce e omnicanale per tutti i marchi del gruppo (in particolare, Damiani, Salvini e Bliss). Il traguardo è il consolidamento della presenza digitale in tutti i mercati e del Crm (customer relationship management, cioè rapporti e gestione dei clienti) per lo sviluppo di una digital customer experience integrata con la rete retail, che consenta agli appassionati di visionare in qualsiasi momento (e ovunque nel mondo) un’ampia selezione di creazioni, anche attraverso nuove esperienze digitali organizzate con partner d’eccellenza per promuovere l’heritage della marca e relativi i prodotti.

L'ex spazio Expo Piemonte, ora di proprietà della famiglia Damiani
L’ex spazio Expo Piemonte, ora di proprietà della famiglia Damiani

Inoltre, saranno implementati nuovi servizi digitali e di e-commerce per supportare i siti e le attività di comunicazione digitale dei rivenditori autorizzati, oltre a un servizio di assicurazione online.

Andrea Ferrazzi
Andrea Ferrazzi

Andra Ferrazzi, laurea in Design presso il Politecnico di Milano con una tesi sulle tendenze dell’informazione digitale attraverso la multicanalità, si è specializzato in user experience, progettazione e comunicazione digitale, ed è stato responsabile del digital marketing nel Gruppo Tod’s.

La boutique Damiani a Busan, in Corea
La boutique Damiani a Busan, in Corea

Da sinistra, Giorgio Damiani, Silvia Damiani e Guido Grassi Damiani
Da sinistra, Giorgio Damiani, Silvia Damiani e Guido Grassi Damiani







Le gioiellerie scompariranno?

Le gioiellerie sono destinate a scomparire? Il digitale soppianterà la vendita diretta? Un’indagine ha scoperto che… ♦︎

Nel 2039, tra venti anni, esisteranno ancora le gioiellerie? Probabilmente sì, ma saranno meno e, forse, diverse a quelle che ci sono oggi. Di sicuro, dati alla mano, è in atto una mutazione profonda che, per la verità, coinvolge tutto il settore retail.

I dati relativi all’Italia, e messi a fuoco da Federpreziosi, sono simili, con piccole varianti, a quelli degli altri Paesi occidentali: il declino del negozio fisico è evidente, ma non sempre significa una minore vendita di gioielli. Le statistiche relative all’Italia sono state presentate durante VicenzaOro nell’ormai classico Digital Talks, formula ideata da Federpreziosi Confcommercio e Ieg: incontri con gli operatori che servono, appunto, a guardare avanti soprattutto in relazione alle trasformazioni della società. Come il mondo digitale, di cui fa parte gioiellis.com, e che rappresenta il mutamento radicale che attraversa tutta l’economia.

La storica gioielleria Schreiber, a MIlano
La storica gioielleria Schreiber, a MIlano

La ricerca realizzata da Federpreziosi, in collaborazione con Format Research, scatta una fotografia del settore. In Italia operano oltre 14.600 gioiellerie che danno lavoro a quasi 37.000 addetti. Ma la contrazione è consistente: in sette anni, dal 2012 a oggi, il comparto ha perso quasi 1.000 imprese e oltre 3.000 addetti. Secondo l’analisi, le principali ragioni del calo del numero delle gioiellerie è causato dalla progressiva riduzione dei consumi e dall’avvento del commercio elettronico, che nel 2019 produrrà in Italia ricavi superiori ai 30 miliardi di euro, contro gli 11 miliardi del 2012. Insomma, una tenaglia micidiale: gli italiani spendono meno e, allo stesso tempo, fanno acquisti sempre più spesso attraverso internet.

Gioielleria Lo Scarabeo d'Oro, a Milano
Gioielleria Lo Scarabeo d’Oro, a Milano

La ricerca indica anche che le gioiellerie che hanno scelto anche la strada digitale si rivelano più efficienti dal punto di vista commerciale. I ricavi medi di una gioielleria in Italia oscillano tra i centomila ed i cinquecentomila euro, ma quando la gioielleria opera sul web, gli affari lievitano e si passa tra i cinquecentomila e il milione di euro. Però, attenzione, non basta avere un sito web: il 10,7% delle delle gioiellerie non raggiunge i 50.000 euro di fatturato e il 4,1% ha, inutilmente, un sito internet. Lecito domandarsi come questi retailer che denunciano un giro d’affari così modesto possano continuare a stare sul mercato. Stesso discorso per le gioiellerie tra 50.000 e 100.000 euro di ricavi, range che corrisponde anche in questo caso al 10,7% delle gioiellerie. E di questi chi ha un sito web è il 5,4%, cioè circa una gioielleria su 20 e non sembra serva a molto.

La gioielleria Mimì
La gioielleria Mimì

Certo, per una gioielleria avere il sito web è inevitabile. Ma a patto di vendere un prodotto che ha già un’immagine consolidata. Se il gioiello è sconosciuto o comunicato male dal produttore, il distributore potrà fare poco. E questo dipende dalle aziende che producono gioielli, che devono far conoscere le proprie collezioni anche con l’utilizzo di siti internet e social network. Ma, diciamo la verità: la situazione è scoraggiante. A parte i grandi marchi, spesso i siti internet dei gioiellieri sono brutti, non aggiornati, addirittura respingenti. Sembra incredibile che aziende legate al mondo del lusso non facciano attenzione all’immagine e, anzi, spesso ignorino l’aspetto della comunicazione, ma è la pura verità. Ne sa qualcosa chi, come gioiellis.com, è a contatto con le aziende di gioielleria: ci sono imprenditori che non sanno neppure che cosa è un press kit, con materiale fotografico e press release per i giornalisti. Un deficit di capacità di marketing che, francamente, appare sbalorditivo.

Gobbi, un'istituzione di Milano
Gobbi, un’istituzione di Milano

Ma c’è anche un altro errore capitale: quello di chi crede troppo a internet. O, meglio prende per buone le mode che attraversano il web. Come l’incredibile successo di blog e blogger. Certo, spesso questi hobbisti digitali, di solito sovvenzionati dalle aziende in vario modo, vantano migliaia di seguaci (che poi spesso sono fasulli). Ma questi follower sono possibili acquirenti di gioielli? Oppure sono semplicemente utilizzatori tossicodipendenti del cellulare che distribuiscono cuoricini a tutti su Instagram? Qual è il valore aggiunto dei post che si trovano su Instagram o Facebook? Lo scoprirete, il tempo è galantuomo.

Clienti abituati agli acquisti tradizionali
Clienti abituati agli acquisti tradizionali







Tiffany e Cartier stelle online

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Tiffany e Cartier hanno i migliori servizi online nella classifica di L2 ♦︎

L2 è una società di consulenza con sede a New York che è specializzata nell’analisi comparativa delle prestazioni digitali dei marchi. Ora L2 ha pubblicato il suo rapporto annuale, che classifica la competenza digitale di alcuni dei più grandi marchi di orologi e gioielli al mondo. Insomma, è una classifica su chi riesce a utilizzare meglio web e social media. Risultato: su 70 marchi esaminati, i promossi a pieni voti sono solo due: Tiffany e Cartier.

L’esame di L2 ha riguardato quattro fattori: il sito web ed e-commerce, con l’esame della velocità di caricamento, le pagine dei prodotti, l’esperienza dell’utente e l’assistenza clienti online. E, poi, l’efficacia del marketing digitale, per esempio la visibilità nelle ricerche su Google, e gli articoli sui media, ma non quelli pagati. Cioè quelli che leggete su gioiellis.com, a differenza delle foto e delle citazioni pubblicati su tanti blog che non sono altro che pubblicità mascherata. Altri fattori considerati per la classifica sono la velocità di caricamento su tablet e smartphone, e più in generale le funzionalità messe alla prova su diversi dispositivi.

Dopo aver passato ai raggi x le attività digitali dei 70 marchi, L2 ha assegnato punti in cinque categorie: Genius (per chi ha superato 140), Gifted (110-139), Average (109-90), Challenged (89-70) e Feeble (<70). Solo due, alla fine, sono rientrate nella categoria Genius: Tiffany & Co. (144 punti) e Cartier (140).

Tiffany, per esempio, vanta le migliori pagine di prodotto, oltre che un ottimo riscontro in articoli su varie testate. Cartier, invece, ha guadagnato punti per la facilità nelle prenotazione di appuntamenti online e una forte presenza su YouTube e Instagram. Appena sotto i due best performance si trova, invece, Swarovski (139), seguito da Alex & Ani (138) e David Yurman (136). Nei primi dieci posti si sono classificati anche Pandora e due marchi del gruppo LVMH, e cioè Bulgari e TAG Heuer. Tra i primi, infine, anche marchi come Longines (di Swatch Group), eMontblanc, marchio invece di Richemont. Questi marchi, però, sono rientrati nella categoria Gifted. Tra i marchi di gioielli, hanno raccolto punti Fabergé (68), marchio di proprietà di Gemfields; Buccellati(63), e Graff (58).




Bracciale in oro rosa. Prezzo: 7.550 euro
Tiffany, bracciale in oro rosa. Prezzo a maggio 2017: 7.550 euro
Orecchini in oro. Prezzo: 3.150 euro
Orecchini in oro. Prezzo: 3.150 euro

Collana Tiffany City HardWear in oro giallo. Prezzo: 17.000 euro
Collana Tiffany City HardWear in oro giallo. Prezzo: 17.000 euro
Collana della collezione Résonances con diamanti
Cartier, collana della collezione Résonances con diamanti

Collana Ecume in platino con diamanti bianchi e fancy yellow briolette
Cartier, collana Ecume in platino con diamanti bianchi e fancy yellow briolette

Collana Bangalore in oro bianco con perline di zaffiro, rubino, smeraldi, diamanti e pietre intagliate
Cartier, collana Bangalore in oro bianco con perline di zaffiro, rubino, smeraldi, diamanti e pietre intagliate