Investimenti

Gioielli colpiti dal coronavirus, ma l’oro è da vendere o acquistare?

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Quanto ha colpito la pandemia sul mondo dei gioielli? E sul prezzo dell’oro? Conviene ancora investire in oro? È presto per fare i conti, ma l’ultimo report del World Gold Council che prende in esame i primi tre mesi del 2020 fornisce le prime risposte. Il risultato è prevedibile: il coronavirus ha fatto precipitare la domanda annuale di gioielli d’oro del primo trimestre 2020 del 39% a 325,8 tonnellate, cioè il livello più basso. Se si considera il valore, però, la domanda globale di gioielli in oro è scesa di meno: il 26% su base annua. E questo perché nel frattempo il prezzo dell’oro è salito: se ne vende meno, ma costa di più. Il prezzo medio trimestrale dell’oro è stato di 1.582,8 dollari per oncia, cioè 50,88 dollari al grammo. Oro non lavorato, non gioielli.

Lavorazione orafa. Foto: LaPresse
Lavorazione orafa. Foto: LaPresse

Cina, India, Usa ed Europa

Sempre se consideriamo i primi tre mesi del 2020, il Paese dove la domanda è crollata maggiormente è la Cina, che è anche la prima area dove si è esteso il contagio. La Cina è anche il più grande mercato di gioielleria del mondo e lì la domanda di oro è scivolata del 65%, su base annua, il livello più basso da oltre 13 anni. Gioiellerie e negozi chiusi, lockdown: non stupisce che gli acquisti siano precipitati nonostante gli incentivi del governo per spingere i consumi.

Anche in India la domanda di gioielli è scesa, ma del 41%. In questo caso il freno alle vendite è stato provocato anche dall’aumento dei prezzi dell’oro a metà febbraio, che ha portato a un rallentamento della domanda. Poi è arrivato il covid e a marzo la domanda di gioielli è crollata dal 60% all’80% a seguito del lockdown.

Gioielleria a Shanghai
Gioielleria a Shanghai

Nonostante siano due aree con molte differenze, il World Gold Council accomuna Stati Uniti ed Europa. Negli Usa la domanda è scesa solo del 3,7%, ma gli effetti del covid-19 sono arrivati tardi negli States. L’analisi rileva, comunque, che gli acquisti online hanno mitigato l’effetto virus. In Europa, dove il malefico virus è arrivato prima, la discesa del consumo di oro è a doppia cifra. La domanda del primo trimestre è scesa del 15% a un minimo record di 10,8 tonnellate. Come era da attendersi, le perdite sono state più forti in Italia, il primo Paese colpito dall’epidemia (-22%), ma anche Regno Unito (-20%).

Per Medio Oriente e Turchia nessuna sorpresa: le vendite di gioielli sono scese del 9-10%, ma i prezzi dell’oro in Turchia hanno raggiunto nuovi massimi, anche perché il metallo è stato acquistato come bene rifugio.

Vetrina di una gioielleria
Vetrina di una gioielleria

Gli investimenti

Per quanto riguarda gli investimenti, la domanda di oro attraverso i mercati finanziari è cresciuta dell’1%, a 1.083,8 tonnellate. Il coronavirus, insomma, ha spinto gli acquisti. Gli Exchange-Traded Fund (Etf, una tipologia di fondi di investimento) specializzati sui valori dell’oro hanno attirato una forte domanda da parte degli investitori, effetto che ha spinto le quotazioni in questi prodotti a un nuovo record. L’investimento totale in lingotti e monete è sceso, invece, del 6% su base annua a 241,6 tonnellate, poiché un calo del 19% nella domanda di barre a 150,4 tonnellate ha superato l’aumento della domanda di monete d’oro.

Chi segue l’aspetto finanziario sarà interessato a sapere che le banche centrali hanno continuato ad acquistare parecchio oro, anche se un po’ meno rispetto al primo trimestre del 2019: gli acquisti netti sono diminuiti dell’8%. Altro aspetto che può influenzare le quotazioni del metallo: il covid-19 ha anche causato l’interruzione della fornitura di oro, dato che la produzione mineraria è scesa del 3%, a un minimo di cinque anni di 795,8 tonnellate. Un fattore che potrebbe spingere l’oro a un ulteriore rialzo.

Pepite e lingotti
Pepite e lingotti







Fope, buona la Prima




Il 2017 Fope brilla grazie al successo della collezione Prima e delle vendita in Usa e Europa. In programma nuovi investimenti ♦︎

Buona la Prima. Nel senso di collezione di gioielli, quelli a marchio Fope. La linea di gioielli Prima, presentata nel 2017, infatti, ha avuto il merito di incrementare i ricavi dell’azienda di Vicenza del 20%, senza cannibalizzare le altre collezioni. Il dato è stato comunicato a una platea di analisti finanziari a Milano, durante la presentazione dei risultati economici della società di gioielleria per il 2017. Il successo del marchio, e della linea Prima in particolare, è dovuto a due fattori, quelli che caratterizzano Fope: lo stile e la tecnologia utilizzata per realizzare i gioielli. «Nascoste in un bracciale Prima, per esempio, ci sono fino a 150 micro molle, che conferiscono elasticità ma anche morbidezza al gioiello: un sistema che vanta un brevetto mondiale», ha spiegato l’amministratore delegato dell’azienda, Diego Nardin. Che, oltre al continuo rinnovamento delle linee di gioielli, ha sottolineato gli sforzi della società, quotata da un paio d’anni al listino Aim della Borsa, nel giocare su due fattori: espansione della distribuzione e investimenti in tecnologia.

Export e investimenti

I risultati già si vedono e consolidano Fope come il secondo gruppo italiano del settore, dopo Damiani, che però ha tutt’altra storia. La decisione di quotarsi in Borsa è stata coraggiosa e, nel panorama delle piccole e medie imprese italiane, una mossa abbastanza insolita. Ma lungimirante. L’azienda, infatti, ha utilizzato il nuovo capitale per espandere il proprio business. E gli investitori lo hanno capito, visto che il valore del titolo è più che raddoppiato in un anno. «C’è un aumento significativo di tutti gli indicatori e una forte solidità patrimoniale», ha sottolineato Nardin.«La crescita delle vendite ha riguardato i principali mercati esteri sui quali stiamo concentrando gli investimenti». Per questo, per esempio, è stata costituita Fope Usa, una controllata che ha preso il posto della precedente realtà societaria in America. All’estero, d’altra parte, Fope registra l’80% dei ricavi. E nel 2017 quelli nelle Americhe (Usa, Canada, Centroamerica) sono lievitati del 22%. Ma i ricavi vanno benone anche in Europa (+24%): da notare che è stata appena costituita la Fope Jewellery Limited, società di diritto britannico. Le mosse di rifocalizzazione societaria delle controllate Usa e britannica sono da vedere, forse, anche in relazione a due aspetti non secondari: la guerra dei dazi Usa-Europa e la Brexit: «Siamo preparati, in tutti e due i casi potremmo utilizzare le due società con una semplice riqualificazione della ragione sociale», ha commentato il manager.

In ogni caso, anche l’Italia tutto sommato non delude (+9%). Tra l’altro, ha fatto notare Nardin, la crescita non è stata frenata da un ritocco all’insù di circa il 5% su parte del listino. Segno che per ottenere i gioielli del brand non si sta a guardare troppo il prezzo. Una parte del risultato, infine, è merito anche del successo della boutique monomarca aperta in piazza San Marco e che fa parte pienamente del perimetro aziendale a partire dallo scorso novembre.

I conti del 2017

I ricavi netti del 2017 sono stati di 28,03 milioni, in aumento del 21,4% rispetto ai 23,08 dell’anno precedente. Sono migliorati anche i margini: l’Ebitda (risultato lordo) è di 3,9 milioni (+72%) rispetto ai 2,26 del 2016. Se siete azionisti di Fope, sappiate anche che 600mila euro del risultato netto, salito a 2,33 milioni, sarà distribuito sotto forma di dividendi, mentre il resto rimarrà in azienda, perché Fope non si ferma qui. Nardin ha citato la volontà di aumentare il numero di shop in shop (ora sono 13) in giro per il mondo, di aprire un monomarca a Londra e di un ambizioso progetto di ampliamento di uffici e sito produttivo a Vicenza. Ultimo dato, ma non meno importante: anche per il 2018 le previsioni sono positive. Dovrebbe essere un altro anno d’oro.





Bracciali in oro rosa, bianco e giallo della collezione Prima
Bracciali in oro rosa, bianco e giallo della collezione Prima

Anello in oro e diamanti della collezione Prima
Anello in oro e diamanti della collezione Prima
Diego Nardin, amministratore delegato di Fope, alla presentazione dei dati di bilancio 2018
Diego Nardin, amministratore delegato di Fope, alla presentazione dei dati di bilancio 2018
Collane in oro e diamanti, Fope
Collane in oro e diamanti, Fope
Bracciali della collezione Prima
Bracciali della collezione Prima

Un anno del titolo Fope in Borsa
Un anno del titolo Fope in Borsa







Rapporto: un anno d’oro per i gioielli

 

È stato un anno d’oro per i gioielli. È il caso di dirlo: lo attesta, infatti, il World Gold Council’s Gold Demand Trends. L’analisi indica che il 2013 ha visto il più grande aumento in volume della domanda di gioielli da 16 anni, grazie alla diminuzione del prezzi dell’oro. La domanda è stata del 17 % superiore a quella del 2012 e ha toccato il livello più alto dall’inizio della crisi finanziaria del 2008.

Questo grafico mostra la quota dell'oro sul prodotto interno lordo mondiale
Questo grafico mostra la quota dell’oro sul prodotto interno lordo mondiale

Record di vendite

Il settore della gioielleria ha visto una crescita continua per tutto il 2013, con il grosso dell’aumento concentrato nella prima parte dell’anno. È interessante notare che, invece, gli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno generato buona parte della crescita nell’ultima parte dell’anno. Sebbene il quarto trimestre sia tradizionalmente più importante per questi mercati, a causa dell’effetto Natale, la crescita è da sottolineare per la dimensione e la modalità: è stato il primo aumento anno su anno della domanda del quarto trimestre in entrambi i mercati dal 2001. Il valore in dollari degli acquisti di gioielli negli Stati Uniti è però sceso dal livello record del 2012, a causa del ribasso generale dei prezzi. Ma il calo è stato solo del 2% (meno della discesa dei prezzi), cifra che dimostra chiaramente la forza della domanda dei consumatori in termini di volume. Nuovi record sono stati fissati in India, Cina e Turchia, mentre il Giappone ha registrato il valore più alto dal 2008.

La domanda di gioielleria d'oro, misurata in tonnellate
La domanda di gioielleria d’oro, misurata in tonnellate

Gioielli come investimento

Un’analisi a lungo termine mostra che dal 2003 una quota crescente di ricchezza collettiva globale è stata convertita in gioielli d’oro (con l’eccezione del 2009, durante la peggiore di la crisi finanziaria). Nel 2013, il valore di gioielli di metallo giallo è stato quasi dello 0,14 % del Pil mondiale, confrontato con meno dello 0,08 % dei dieci anni precedenti. Significativamente, la quota di vendita di pezzi di gioielleria nel mondo è stata un quinto superiore a quella del 1997, che è stato l’anno di picco per la domanda di gioielli in oro misurata per peso.

Cala la fascia bassa

Un altro trend è la crescente preferenza per i gioielli con maggiori carati. Anche perché chi acquista gioielli per fare un investimento desidera pezzi che possano conservare valore nel tempo, quindi di qualità maggiore. Negli Stati Uniti, dove il segmento di fascia alta è stato relativamente robusto, questa tendenza è risultata ancora più evidente, con marchi commerciali di massa che hanno diminuito la produzione più a buon mercato per salire nella fascia di gioielli da 14 carati.

La variazione della domanda di oro rispetto al 2012, espressa in tonnellate
La variazione della domanda di oro rispetto al 2012, espressa in tonnellate

Non solo gioielli

Nonostante il costo del metallo giallo sia sceso (o forse proprio a causa di questo) la domanda di lingotti e monete è salita al massimo storico di 1.654 tonnellate. Pochi sanno che l’oro è utilizzato anche in alcuni dispositivi tecnologici. Ma da questo punto di vista non ci sono state novità: la domanda annuale di oro usato nell’elettronica si è stabilizzato a 404,8 tonnellate, da 407,5 nel 2012. Invece, le banche centrali hanno approfittato del ribasso per aumentare le proprie riserve per 368,6 tonnellate. Federico Graglia 

Lingotti d'oro
Lingotti d’oro

Soldi: l’argento perde quota

Notizia per i gioiellieri, ma anche per chi progetta di acquistare gioielli di un certo calibro: l’argento è malato. Il 20 maggio, il prezzo «spot» dell’argento è sceso sotto i 22 dollari l’oncia, il livello più basso da oltre due anni. E questo potrebbe essere solo l’inizio, secondo due analisti Citibank. «Dopo quasi un decennio di aumento dei prezzi d’argento, ci aspettiamo che la combinazione di crescita dell’offerta mio e del rallentamento della domanda di continuare a tenere i prezzi d’argento sotto pressione», hanno scritto in un report gli analisti. Il crollo dell’argento segue quello dell’oro. Il metallo giallo veleggia intorno ai 1.340 dollari l’oncia. Per concludere: se avete argento da vendere, attenti che domani potrebbe valere meno. Federico Graglia

 

Bracciale d'argento
Bracciale d’argento

 

Anello d'argento
Anello d’argento

 

Il prezzo dell'argento nell'ultimo anno
Il prezzo dell’argento nell’ultimo anno

 

Lingotto d'argento
Lingotto d’argento

 

Mps: i gioielli sono un ottimo investimento. Perché…

[wzslider]Investire in gioielli è un vero affare. Specialmente nei momenti di turbolenza economica, come quello che viviamo da qualche anno. Lo sostiene il Monte dei Paschi di Siena, che ha realizzato uno studio sul mercato dell’arte e su quello dei preziosi. L’indagine sul mercato dell’arte del Mps analizza l’andamento del mercato della pittura, distinto in tre segmenti di riferimento, sintetizzando i risultati delle maggiori transazioni di case d’asta (circa 1.550 le osservazioni totali) in tre indici secondo il periodo storico di riferimento: MPS Art Old masters e 19° secolo Index, MPS Art Pre War Index e MPS Art Post War Index. Le evidenze dei 3 indici sono infine sintetizzate nel MPS Global Painting Art Index.

Ma, come anticipato, la disamina non finisce qui. Gli esperti hanno anche introdotto  indici che mirano ad analizzare l’andamento delle cosiddette arti minori: oggetti antichi, arredi e sculture, gioielli, vini e fotografia. All’interno delle arti minori si è analizzato l’andamento del comparto Jewels rispetto alle altre arti minori data la particolare funzione di bene rifugio ricoperta da questo segmento. Il segmento più importante dopo la pittura, infatti, è rappresentato dai gioielli e orologi, le cui aste spiccano per gli elevati fatturati medi e che complessivamente pesa il 14,2% dei ricavi totali (+3,1% rispetto alla quota del primo semestre 2010). Tale segmento è previsto in ulteriore crescita dagli esperti del Mps, visto il successo che soprattutto le aste di pietre e preziosi stanno riscuotendo su tutte le piazze continentali.

Conclusioni: il peso tra i vari segmenti pare sia destinato ancora a cambiare, con un rafforzamento delle arti minori che mostrano, nel solo ultimo anno solare e in tutte le categorie, performance migliori, in termini di variazioni percentuali, rispetto al Mps Global Painting Art Index.

Il MPS Jewels index riassume l’andamento delle aste di gioielli, orologi e pietre preziose dei più importanti centri internazionali: Ginevra, Londra, New York e Hong Kong. Il segmento mostra i tassi di crescita più interessanti del comparto delle arti minori, con un progresso del 160,8% negli ultimi 5 anni (primo semestre 2011 su primo semestre 2006).

Nel confronto con il MPS Arti Minori Index Without Jewels (+71,0% tra il 2006 e il 2011), è evidente il successo dei preziosi, che al momento si confermano bene rifugio per eccellenza, con una performance stimata per il 2011 +10,0% (ultimo dato preso in considerazione allo studio).

I gioielli si rivelano anche un bene piuttosto «liquido», perlomeno per i pezzi di alta qualità: le aste considerate dimostrano che i gioielli firmati o d’antichità sono un investimento sicuro. Oltre ai diamanti rimangono sempre molto apprezzate le pietre naturali (non trattate) e le perle naturali (non coltivate). Il successo del segmento è da attribuire a due motivi principali: 1) il gioiello è visto come un bene rifugio di garanzia; 2) il valore del sottostante (oro, argento, diamante…) è cresciuto sensibilmente in questo periodo di recessione.

Certo, non è automatico vendere un gioiello, ma non più di un quadro di pittura. I tassi di unsold registrati negli ultimi cinque semestri, notano gli analisti della banca senese, si assestano nella regione dei tassi medi del quinquennio (tasso medio per lotto 21,4%, per valore 17,6%), e al di sotto dei picchi raggiunti nel 2008: il mercato negli ultimi due anni sembra aver trovato un equilibrio sostenibile per domanda e offerta.

Rispetto al passato la domanda di preziosi si concentra più su diamanti di qualità superiore, pietre con colorazione particolare come il Birmano per i rubini, il Kashmir per gli zaffiri e il Colombiano (Muso) per gli smeraldi.

Sulla piazza newyorkese sono apprezzati soprattutto i diamanti di grande caratura bianchi, come pure le grandi pietre di colore e i diamanti colorati. I gioielli degli anni ’20 e ’50 sono molto graditi sia nel vecchio sia nel nuovo Continente. Il mercato inglese è più orientato verso i diamanti a taglio cushion per la loro particolare lucentezza e per il loro fascino. In Italia si afferma sempre più l’interesse per i gioielli d’epoca, grazie ad una consolidata tradizione orafa che ha prodotto manifatture, design e proporzioni di qualità elevata. Le firme, note a livello internazionale, aggiungono valore al gioiello mediante design raffinati e fattura perfetta.

Non mancano, infine, i consigli per chi decide di lanciarsi in un investimento in diamanti. È necessario, spiegano gli esperti, valutare le cosiddette 4 C: colore (Color), purezza (Clarity), taglio (Cut) e caratura (Carat). Da non trascurare, inoltre, proporzioni, fluorescenza e politura.

Il mercato dei gioielli di pregio è sintetizzato in una serie di grafici. Il rendimento del MPS Jewels Market Value Index nell’intero periodo di osservazione (settembre 2008-settembre 2011) è decisamente positivo (+63,5%) e superiore agli altri indici borsistici nazionali considerati, tutti in terreno negativo: SMI (-4,9%), CAC 40 (-36,7%)** e Ftse Mib (-54,5%) ad eccezione dello S&P 500 (+2,7%).

L’investimento borsistico nel gioiello di lusso risulta essere l’unico positivo rispetto ai maggiori indici rappresentativi dei 4 paesi che contribuiscono, con loro società, alla definizione del MPS Jewels Market Value Index (Damiani e Bulgari per l’Italia, LVMH, Hermès e Dior per la Francia, Richemont per la Svizzera e Tiffany & Co. per gli Stati Uniti).

Attenzione, però: i pericoli non mancano. Il segmento del gioiello di lusso, continua lo studio, è sottoposto a numerose minacce: 1) sempre più forte interesse per beni sostitutivi destinati a soddisfare il benessere psico-fisico (es. viaggi, SPA, palestre, ecc); 2) maggiore domanda per le produzioni della fashion industry soprattutto da parte dei più giovani, attratti da prezzi meno proibitivi e caratteristiche innovative; 3) preferenza per i prodotti-moda più che per i prodotti-valore; 4) forte stagionalità delle vendite in alcuni periodi dell’anno (per i gioielli Natale e San Valentino); 5) rischio di contraffazione; 6) rischio reputazionale (per esempio quando la produzione viene decentrata all’estero); 7) cambiamento nel gusto dei consumatori, spesso improvviso e non motivato. Gli alti tassi di disoccupazione e i livelli delle aliquote fiscali nei mercati emergenti sono fattori in grado di influenzare la domanda. Inoltre, i prodotti del mercato del lusso hanno natura di bene secondario e ciò li rende suscettibili alla congiuntura macroeconomica circostante rendendo necessario il costante potenziamento e rilancio del marchio.

 Anche per questo nei mesi scorsi la performance del MPS Jewels Market Value Index ha risentito della difficoltà dei mercati finanziari (-20,5%), ma sono state negative anche le performance di tutti gli altri indici che oscillano dal -31,9% del Ftse Mib al -10,7% dello S&P500.

Sulla performance complessiva del MPS Jewels Market Value Index hanno comunque inciso soprattutto LVMH (-19% ca.) e Richemont (-23% ca.) che complessivamente pesano per il 70% ca. sull’intero indice.

Poco significativa sulla performance dell’indice la crescita del titolo Bulgari (+50% ca.) a seguito dell’OPA lanciata da LVMH, a causa del suo limitato peso sull’aggregato (4,5% ca.). Federico Graglia