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Vicenzaoro tra ottimismo e timori




Chiuso il sipario, è il momento dei conti. Quanto ha pesato su Vicenzaoro l’atmosfera bellica, seguita al covid e all’euforia post pandemica? Ieg, la società che organizza la più importante fiera europea della gioielleria sottolinea il dato positivo. Prima, però, sintetizziamo il risultato dal piccolo sondaggio informale condotto da gioiellis.com su un panel di 37 espositori: l’85% si è detto molto preoccupato per i riflessi sul business (oltre che dal punto di vista umano, s’intende) della guerra in Ucraina. Il 65% ha messo in conto riflessi negativi più o meno rilevanti sulle proprie vendite, mentre il 10% non prevede scossoni e il rimanente è semplicemente incerto.

plus ou moins importants sur leurs ventes, tandis que 10% ne s’attendent pas à des à-coups et le reste est simplement incertain.

Vicenzaoro marzo 2022. Copyright: gioiellis.com
Vicenzaoro marzo 2022. Copyright: gioiellis.com

Premesso questo, il bilancio di Vicenzaoro (a cui si è affiancato T.Gold) ha segnato +24% di presenze rispetto all’edizione di Vicenzaoro September 2021, di pari durata e inserita anch’essa nell’inedito contesto post pandemico. Insomma, nonostante i venti di guerra rimane un clima fiducioso, anche se scosso dagli avvenimenti. L’affluenza di buyer e visitatori dall’estero, precisa il comunicato finale, ha registrato presenze da Spagna (6,5% del totale), Germania (6,4%), Stati Uniti (6,3%), Grecia (5,3%), Francia (5,2%), per un totale del 53%. Numeri che si aggiungono a un consuntivo brillante per il settore orafo: giro d’affari 2021 di 8,8 miliardi di euro ed export in crescita del Made in Italy +15,7% in confronto al 2019 (+54% sul 2020), con una crescita a doppia cifra rispetto al 2019 verso Usa ed Emirati Arabi Uniti (export Extra-UE vale il 75%). Con la speranza che a settembre un clima di pace consolidi una visione altrettanto ottimistica, anche se due mercati sono ora da considerarsi off limits.

Visitatrici a Vicenzaoro. Copyright: gioiellis.com
Visitatrici a Vicenzaoro. Copyright: gioiellis.com
Business a Vicenzaoro. Copyright: gioiellis.com
Business a Vicenzaoro. Copyright: gioiellis.com

Gioielli di Roberto Coin a Vicenzaoro. Copyright: gioiellis.com
Gioielli di Roberto Coin a Vicenzaoro. Copyright: gioiellis.com







Le gioiellerie che chiudono in Russia




Il vero dramma è quello delle vite umane perse inutilmente, delle vite travolte, delle vite che non saranno più le stesse. Ma la guerra in Ucraina provoca anche un più piccolo, molto più piccolo, ma non per questo irrilevante, dramma legato ai posti di lavoro, in Occidente e in Russia, che saranno persi a causa di una stupida aggressività. Sia i russi sia gli occidentali fanno i conti con le sanzioni, inevitabili e annunciate per tempo, prima dell’invasione, che avranno un impatto sui conti delle aziende, per esempio quelle della gioielleria, oltre che sulle persone che ci lavorano. Il crollo del rublo e il blocco del servizio di carte di credito, infatti, ha indotto molte aziende della gioielleria a sospendere l’attività. Forse chiuderanno del tutto o riapriranno, se tutto finirà, ma chissà quando.

Boutique De Beers a Mosca
Boutique De Beers a Mosca

Al momento in cui scriviamo questo breve articolo, l’ultima insegna occidentale a chiudere la boutique a Mosca è stata Swarovski, mentre Tiffany è stata tra le prime ad abbassare la saracinesca, assieme a Vuitton. Altri lo hanno già fatto, altri seguiranno. L’elenco di Maison occidentali che hanno aperto una boutique a Mosca, San Pietroburgo o in altre città russe, è lungo. A Mosca, per esempio, hanno una boutique Chopard, Van Cleef & Arpels, Akillis, Piaget, De Beers, H. Stern, Stephen Webster, Carrera y Carrera, Mauboussin, Mont-Blanc, Dior, Chaumet, Pandora, Frey Wille, Cartier, Trollbeads, Vuitton, Thomas Sabo, Bulgari, Pomellato, Adamas, Damiani, Buccellati. Altre marche, come quelli Pasquale Bruni o Alcozer sono distribuiti in gioiellerie non di proprietà, oppure nei duty free degli aeroporti.

Boutique Damiani a Mosca
Boutique Damiani a Mosca

Secondo un’analisi che riguarda la gioielleria italiana condotta dall’Ice (l’organismo statale per l’export) in generale, il compratore russo è orientato verso la gioielleria di livello medio o medio-alto. Sempre secondo l’analisi, l’utilizzo quotidiano di anelli, orecchini, braccialetti e collane soprattutto nella capitale e nelle grandi città, è ormai visto come una forma di accessorio alla propria immagine, non necessariamente abbinato a indumenti di lusso o in occasione di eventi speciali. Gli articoli preferiti dalle donne russe sono anelli, catenine e orecchini; gli uomini preferiscono catenine e braccialetti, mentre spille e collier vengono acquistati da una minoranza della popolazione femminile, mentre i gioielli tipicamente maschili come gemelli e spille per cravatte sono poco richiesti. Negli ultimi anni, però, ha avuto successo più la gioielleria in argento che in oro, a causa del cambio rublo-euro sfavorevole. L’Italia (dati 2019) esporta verso la Russia gioielli per circa 77 milioni, la Francia circa 22 milioni, gli Stati Uniti 21 milioni e il Regno Unito 23 milioni. Chi esporta di più in Russia è però la Cina con oltre 88 milioni.

Boutique Tiffany a Mosca
Boutique Tiffany a Mosca

Boutique Cartier a Mosca
Boutique Cartier a Mosca







La crisi Ucraina alza il prezzo dei diamanti




Ci sono cose più importanti dei gioielli, quando in palio c’è la vita. Ma questo non toglie il fatto che gli operatori della gioielleria, e anche chi vuole acquistare un oggetto prezioso, si interroghino su quali saranno gli effetti della guerra in Ucraina. Una conseguenza è già possibile dedurla: i diamanti costeranno di più. E anche l’oro. Una cosa, infatti, è certa: gli Stati Uniti hanno sanzionato una delle più grandi aziende estrattive, la russa Alrosa. Il blocco fa parte dello stop a una serie di aziende russe come conseguenza dell’invasione dell’Ucraina.

Il diamante è stato ricavato da una pietra grezza di 179 carati
Diamante di Alrosa ricavato da una pietra grezza di 179 carati

Alrosa è il più grande produttore mondiale di diamanti per volume e lo scorso anno ha aumentato le vendite del 49%. Nel 2021 ha estratto 32,4 milioni di carati, con vendite che hanno superato i 4 miliardi di dollari. Il governo Usa ha spiegato che la società russa è responsabile del 90% della capacità di estrazione di diamanti, una quantità che rappresenta il 28% a livello globale. E il governo russo detiene una partecipazione del 33% nella società. Insomma, quando si acquistano i diamanti di Alrosa, almeno un terzo dei profitti finisce dritto al Cremlino, senza contare i proventi che derivano dalle tasse. Le sanzioni decise non prevedono, però, il congelamento dei beni di Alrosa, né un divieto completo di fare affari con l’azienda.

Diamante con con taglio fancy
Diamante con con taglio fancy

Inoltre, le sanzioni non si applicano ai diamanti acquistate da Alrosa prima del 24 febbraio 2022. Ma il blocco avrà effetto sul prossimo futuro: tutti gli accordi aperti con termini superiori a 14 giorni dovrebbero essere modificati per abbreviare i termini e/o chiusi rapidamente. C’è, inoltre, il problema dell’embargo alle banche russe, che rende comunque difficile se non impossibile ogni transazione con i normali canali finanziari.

Esame gemmologico di un diamante
Esame gemmologico di un diamante

JVC consiglia inoltre a qualsiasi azienda statunitense attualmente in affari Non solo. Tra gli oligarchi colpiti dal blocco c’è l’amministratore delegato di Alrosa, Sergey Ivanov Jr., figlio di Sergey Ivanov Sr., alto funzionario del Cremlino che è nell’elenco dei cittadini nel mirino. Fa parte, infatti, del consiglio di Gazprombank, terza istituzione finanziaria russa e altro ente sanzionato.

E l’oro? Allo scoppio della guerra il prezzo per oncia è schizzato sopra i 1900 dollari. Non sorprende, visto che l’oro è considerato un bene rifugio. Ma il suo valore resta legato all’andamento della crisi Ucraina. Fino a quando non sarà terminato il conflitto, con un convincente processo di pacificazione, il prezzo del metallo giallo rimarrà bollente fino a diventare, forse, incandescente.

Lingotti d'oro
Lingotti d’oro







Lvmh rinuncia a Tiffany, che avvia un’azione legale

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Colpo di scena nel mondo della gioielleria: Lvmh ha ingranato la retromarcia e ha annunciato che non acquisterà più Tiffany & Co. E l’azienda americana ha intrapreso un’azione legale per contestare il voltafaccia. I primi dubbi sulla reale intenzione del gruppo francese di monsieur Bernard Arnault di procedere, come concordato nell’autunno scorso, all’acquisto del colosso americano erano emerse a fine primavera, quando il consiglio di amministrazione della società francese del lusso (Christian Dior, Bulgari, DKNY, Fendi, Céline, Guerlain, Givenchy, Kenzo, Loro Piana, Louis Vuitton, TAG Heuer, Moët & Chandon, Veuve Clicquot, Hennessy) aveva mostrato perplessità riguardo al prezzo concordato di 16,2 miliardi di dollari. Il covid, che ha depresso le vendite del comparto, è stato determinante. Ma, dice Tiffany, i patti si rispettano.

Bernard Arnault
Bernard Arnault

La Maison di New York guidata da Alessandro Bogliolo (tra l’altro, ex manager di Bulgari, che ora fa parte di Lvmh) ha annunciato di aver già intentato una causa presso la Court of Chancery dello Stato del Delaware. Lvmh, in effetti, aveva già chiesto di far slittare la firma definitiva al 24 novembre, tre mesi dopo la data concordata quasi un anno fa, ma comunque in base a una clausola del contratto. Secondo il quotidiano britannico Financial Times, sulla decisione del colosso Lvmh pesa anche una richiesta dal governo francese di rinunciare all’accordo per non minare una guerra commerciale in corso con gli Stati Uniti.

Alessandro Bogliolo, ceo di Tiffany
Alessandro Bogliolo, ceo di Tiffany

Shopping da Tiffany
Shopping da Tiffany

Tiffany, Fifth Avenue, New York, in occasione del lancio della collezione Paper Flowers
Tiffany, Fifth Avenue, New York, in occasione del lancio della collezione Paper Flowers







La guerra dei diamanti

È scoppiata la guerra dei diamanti. Produttori di gemme sintetiche contro chi sostiene le pietre naturali. E non è solo una faccenda tra aziende, perché tocca argomenti che interessano tutti quelli che possiedono gioielli con diamanti e hanno finora pensato di avere nel cassetto un valore che rimane inalterato nel tempo, addirittura, aumenta. La vicenda è raccontata in un lungo articolo di Jck, che trovate qui.

Un passo indietro

Tempo fa abbiamo raccontato di Diamond Foundry, azienda che produce diamanti sintetici grazie a una complicata e costosa nuova tecnologia e di cui è socio anche Leonardo DiCaprio. Le pietre sono talmente simili a quelle autentiche che è molto difficile, se non impossibile, distinguerle da quelle originali. La faccenda ha profondamente irritato il maggior esperto mondiale di diamanti, Martin Rapaport. Lui è un guru che stabilisce prezzi e tendenze, prevede e influenza il mercato delle gemme più ambite. Rapaport, quindi, si è scagliato contro Diamond Foundry, con un articolo che vale la pena di leggere. Si intitola La truffa diamante sintetico. Il primo argomento contro la diffusione delle pietre artificiali, per quanto esteticamente perfette, riguarda il valore etico sostenuto dall’azienda che li produce.

Non è vero, sostiene Rapaport, che i diamanti sintetici sono più etici di quelli naturali. Per esempio, perché sottraggono lavoro ai poveri che estraggono quelli autentici. Insomma, chi afferma che i diamanti sintetici sono più etici è un bugiardo. Un punto molto sensibile perché i diamanti sintetici non costano molto meno di quelli originali e sono proposti dal marketing con un valore etico in più per convincere i possibili acquirenti nella scelta.

C’è, poi, un secondo punto: i diamanti naturali sono sempre stati un investimento che dura nel tempo, mentre il prezzo di quelli sintetici è destinato a scendere nel tempo, dato che i costi di produzione si abbasseranno come per tutti gli oggetti legati alla tecnologia. Su questo punto, però, Jck obietta: primo, non è detto che i diamanti sintetici debbano per forza abbassarsi di prezzo. Secondo, non è detto neppure che quelli naturale mantengano inalterato il loro valore per sempre.

DiCaprio risponde

La storia non è finita. Diamond Foundry, infatti, ha risposto per le rime: primo, creare gemme perfette in laboratorio è e rimarrà costosissimo, quindi il prezzo dei diamanti sintetici non scenderà. Inoltre, secondo l’azienda, Rapaport è semplicemente una pedina in un «cartello» occulto di produttori di diamanti. Infine, l’azienda che ha DiCaprio (ricordate il suo film Blood Diamond?) tra i proprietari lancia una sfida. E propone al Botswana di costruire lì un impianto che produca diamanti sintetici, per compensare la perdita nelle vendite di diamanti. Difficile, però, che l’idea possa davvero entrare in porto. Restano le polemiche, ad alta caratura. Federico Graglia

Leonardo DiCaprio in «Blood Diamond»
Leonardo DiCaprio in «Blood Diamond»
Anello Trilogy, oro bianco e diamanti. Prezzo: 8.345 euro
Anello Trilogy, oro bianco e diamanti. Prezzo: 8.345 euro

 

Anello con diamante sintetico di Diamond Foundry
Anello con diamante sintetico di Diamond Foundry
Diamante con taglio a brillante
Diamante naturale con taglio a brillante