«I nostri clienti sono sì gli espositori, (ogni edizione di VicenzaOro da sola vale 10 milioni di euro) ma sono soprattutto i buyer che devono trovare subito ciò che cercano: non possono vagare tra un padiglione e l’altro alla ricerca dello stessa tipologia di fornitore. Così abbiamo riorganizzato i 12 chilometri di corridoi della VicenzaOro secondo una distribuzione merceologica più dinamica e razionale, attenta alla domanda internazionale». Corrado Facco, laurea a Padova in Legge ed Economia, supersportivo (sci, trekking, vela), direttore generale della Fiera di Vicenza per vocazione (ci è tornato quattro anni fa dopo essere stato fino al 2007 segretario generale), anticipa a Gioiellis.com le strategie e le prossime mosse della più grande manifestazione europea dedicata al gioiello, assieme a Baselworld. Facco parla in occasione della presentazione del nuovo format espositivo di VicenzaOro, ribattezzata VicenzaOro The Boutique Show (23-28 gennaio 2015). In pratica, non più un puzzle di alta gioielleria assieme a produttori private label o catenifici, ma sei distretti ben definiti in base al posizionamento dei singoli buyer e dei gruppi d’acquisto.
Domanda. È una specie di rivoluzione in un settore molto tradizionale.
Risposta. È vero solo in parte: il mondo della gioielleria sta cambiando. In molti sentono l’esigenza di abbattere le barriere psicologiche dei clienti a entrare in negozio, il timore che li frena. La diversificazione di prodotto è lo strumento più adatto. Quindi, chi viene a Vicenza lo fa per trovare nuove o aggiuntive opportunità di vendita e vuole massimizzare il tempo a disposizione. Con il nuovo format avrà più tempo a disposizione.
D. Ma così gli espositori si ritrovano vicino ai concorrenti. Come siete riusciti a convincerli?
R. In effetti, qualche resistenza all’inizio c’è stata, ma poi hanno compreso i vantaggi del nuovo layout. Per esempio, a ognuno dei tre distretti della gioielleria, Icon, Creation e Look, corrisponde un insieme di valori che caratterizzano immediatamente lo spazio e l’espositore. Quindi, non solo maggiore visibilità, ma anche la possibilità di personalizzare il marchio in un ambito preciso, che inevitabilmente porta a una valorizzazione dell’identità dell’azienda.
D. C’è chi, però, si è chiesto come mai investire in progetto d’innovazione e internazionalizzazione per poi organizzare una replica della manifestazione a Dubai. Non si rischia di cannibalizzare VicenzaOro?
R. Innanzitutto, è stato il Dubai World Trade Centre, quindi il governo degli Emirati, a proporci tra tutte le fiere al mondo questa joint venture. Mi sembra si tratti di un riconoscimento importante del nostro know how. Inoltre, non è una replica della nuova fiera di gennaio perché sarà di dimensioni minori e poiché saremo noi a selezionare gli espositori, avremo sotto controllo la situazione. Comunque, sarebbe sbagliato non vederla come un’opportunità, anche in vista dell’Expo 2020. Senza contare che sarebbe stato un rischio non cogliere al volo la proposta.
D. È un’opportunità perché è un ponte verso il Medio Oriente? Non sarebbe meglio continuare a fare venire in Italia i compratori?
R. Attenzione, Dubai è anche un ponte verso l’Africa, mercato in grande crescita. E, inoltre, c’è un’ampia fetta di buyer che in Italia non arrivano per problemi di visto. Penso a coloro che provengono dai Paesi orientali a cavallo tra Asia ed Europa, che invece volano senza alcun ostacolo fino a Dubai. Insomma, si tratta di allargare il bacino dei potenziali clienti. E di questi tempi è vitale.
D. E il rischio invece, quale sarebbe stato?
R. È ovvio, la concorrenza. Vi faccio io una domanda: in un territorio che da solo importa 1,2 miliardi di euro di preziosi made in Italy, è meglio che a lavorare con le istituzioni sia la Fiera di Vicenza o il suo omologo cinese? Monica Battistoni