Si definisce un businessman innamorato del bello: Roberto Coin alla gioielleria è approdato per hobby, dopo aver raggiunto il successo nell’hotellerie come partner e manager del Duke Of Richmond Hotel a Guernsey, un’isola del Canale della Manica, spinto dalla fascinazione esercitata dagli oggetti indossati dalle sue clienti, sofisticate e internazionali. «Quando ho deciso di cambiare lavoro ho scelto l’oreficeria, perché mi sembrava più interessante rispetto alla moda. E soprattutto perché era il settore più adatto per realizzare la mia idea: creare un brand forte, ma allo stesso tempo facile da interpretare in modo personale, per permettere a ogni donna di sentirsi diverse dalle altre. Ho cercato di vestirle tutte disuguali», racconta Coin a gioiellis.com. Un universo femminile che ha portato fortuna all’imprenditore, a capo di un gruppo fondato nel 1996, e ormai presente in 62 Paesi, in oltre un migliaio di negozi e 20 monomarca sparsi per il mondo. Le donne piacciono a Coin anche come collaboratrici: l’85% di chi lavora con lui è una donna e questo già prima di avventurarsi nella gioielleria. Insomma, un super precursore delle «quote rosa». Così non stupisce che una delle nuove collezioni presentate per l’inizio del 2015 sia dedicata a Tanaquilla, moglie del quinto re di Roma Tarquinio Prisco e sua consigliera politica: un tributo all’importanza della figura storica seguendo la raffinata tecnica di lavorazione dell’oro degli Etruschi.
Domanda. Recentemente le è stato assegnato il Palladio Awards, che premia Pois Moi come la migliore collezione italiana di gioielli nel mondo. Si sente di bissare questo successo?
Risposta. In realtà di collezioni importanti come Pois e Moi, una felice sintesi di modernità e creatività, con la sua forma che s’ispira agli schermi delle televisioni degli anni Cinquanta e il dettaglio dei pois convessi rifiniti a mano, ne nasce una ogni cinque anni. Ma il mercato richiede anche altri prodotti. Magari più di massa o più classici, e io mi adeguo aggiungendo quel tocco di freschezza che li rende appetibili sia dalle ragazze che dalle signore. Certo, ora la strada è senz’altro più facile, a patto di non di non commettere l’errore di adagiarsi e di pensare di essere arrivati e di non avere più nulla da imparare.
D. E come si evita di commettere questo errore?
R. Con la ricerca: l’estro è fondamentale, ma l’innovazione porta solidità. Per esempio, la collezione Primavera, di cui ho venduto più di 18 mila pezzi, è il frutto di un investimento in tecnologia per costruire una macchina che produce dei bracciali flessibili e leggeri, senza chiusura ma resistenti, a prezzo interessante. Il risultato è un oggetto industrializzato inimitabile per qualità e costo da qualsiasi produttore, nemmeno in Asia.
D. Ora su che cosa punta?
R. C’è la nuova versione di Black Jade, con la giada nera e l’agata verde montate su oro e diamanti, una collezione che ha riscosso un successo mondiale così come la linea con pietre preziose Garden e gli anelli Art Deco di forte impatto. Due novità assolute dalla chiusura «stupid free», ossia facilissima da aprire, sono Ensemble, bracciali composti da tanti fili messi insieme da qui il nome, e Princess, che nella sagoma leggermente stondata agli angoli è simile a Pois Moi, ma è incisa in superficie in modo tale da dare un effetto rigato. E come Pois Moi non gira intorno al polso così i diamanti sul lato superiore si vedono sempre.
D. Ogni anno il brand presenta circa 500 modelli nuovi. In una così grande varietà ne esiste uno che la rappresenta di più?
R. Più che un modello c’è un tema a cui sono particolarmente affezionato, quello animalier. A ogni stagione introduco una capsule collection di pezzi unici e questa volta ho disegnato un falco, giocando sui contrasti dei colori dei materiali per dare profondità all’occhio dell’animale e recuperarne la fierezza dello sguardo. Ne sono molto orgoglioso.
D. Roberto Coin è conosciuto in tutto il mondo, negli Stati Uniti è uno dei primi brand. Eppure non dimentica le origini ed è presente alla Fiera di Vicenza.
R. In teoria non dovrei fare le fiere, perché ho sempre pensato che un’azienda come la mia dovrebbe essere un po’ più esclusiva e offrire un servizio migliore ai clienti. In pratica, avere più tempo e risorse da dedicare loro. Ma circa 45 piccole aziende italiane sono miei fornitori, e ritengo sia giusto fare sistema. In fondo quando, ho iniziato quasi venti anni fa, la fiera più importante era a Milano e poi si andava a Basilea. Che cosa è successo nel frattempo? Perché abbiamo perso un primato e come s’inverte la rotta? La risposta è semplice: bisogna fare sistema e io sono qui per questo.
D. A Basilea che cosa presenta?
R. Con 500 diversi gioielli non c’è il rischio di rimanere a corto di argomenti. Però posso anticipare che ho creato una variazione sul tema Pois Moi del cui successo sono certissimo. Qualcosa di molto grintoso, che ha richiesto un notevole studio di progettazione, e il risultato è davvero interessante. Monica Battistoni